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A nemmeno una settimana di distanza, dopo l’analisi e il decalogo dell’Area Stato sociale e diritti della Cgil, arriva il 6° Rapporto sul Servizio sanitario nazionale presentato dalla Fondazione Gimbe in Senato. E i due documenti sembrano “parlarsi” e confermarsi a vicenda. Il quadro che emerge è davvero sconcertante e terribile.
Le risorse
Servono oltre 48,8 miliardi all’Italia per raggiungere la spesa pro capite per la sanità degli altri Paesi europei. Complessivamente, rispetto alla media dei Paesi europei, nel periodo 2010-2022 la spesa sanitaria pubblica italiana è stata inferiore di 345 miliardi di euro. E, non ci si crederà, il definanziamento della spesa sanitaria si è sorprendentemente ampliato nel triennio 2020-2022 durante l’emergenza pandemica. Nonostante, in quei due anni, prima il governo Conte e poi quello Draghi abbiano comunque aumentato il finanziamento del Fsn rispetto agli anni precedenti.
Una situazione drammatica
“La situazione è drammatica, insieme alla Confederazione lo denunciamo e contrastiamo da tempo”. Lo afferma Michele Vannini, segretario nazionale Fp Cgil, che aggiunge: “Il progressivo definanziamen-to ha prodotto una situazione di crisi che si riversa sulla vita delle cittadine e dei cittadini, costretti a combattere con liste di attesa che hanno origine nella drammatica carenza di personale, con i professionisti rimasti che faticano ogni giorno h24 in un contesto frustrante, demotivante e troppo spesso a rischio di aggressioni”.
"Per noi – conclude – ‘la via maestra’ è investire con un piano pluriennale sul rilancio del servizio socio-sanitario nazionale universale, solidaristico e, appunto, nazionale, sottratto cioè ai guasti prodotti anche da un eccesso di regionalismo, altro che autonomia differenziata. Bisogna cambiare strada subito, con un piano straordinario di assunzioni e alzando adeguatamente le retribuzioni, invertendo, quindi, l’attuale impostazione che il governo pare intenzionato a dare alla prossima legge di bilancio”.
Il presente e il futuro prossimo
Chi siede oggi a Palazzo Chigi, invece, proprio nelle ultime ore ha dichiarato che la qualità della sanità non dipende solo dai finanziamenti. Vero, ma la saggezza popolare indica che difficilmente è possibile fare “le nozze con i fichi secchi”, ed è bene tenere a mente che se è vero che nella legge di Bilancio del 2023 si è incrementato il Fsn di 2 miliardi e 150 milioni, ben 1 miliardo e 400 se ne è andato per pagare l’aumento del costo dell’energia. Le Regioni aspettano ancora di ricevere i 2 miliardi di risorse proprie impegnate per far fronte al Covid e l’aumento di stanziamento per l’anno in corso non ha coperto nemmeno l’inflazione. Non solo, per i prossimi anni la previsione è ancora più fosca. Si legge dal Rapporto Gimbe: “Dal punto di vista previsionale, nella Nota di Aggiornamento del Def 2023, approvata lo scorso 27 settembre, il rapporto spesa sanitaria/Pil precipita dal 6,6% del 2023 al 6,2% nel 2024 e nel 2025, e poi ancora al 6,1% nel 2026”.
Manca personale
“Le fonti disponibili – spiega il presidente di Gimbe Nino Cartabellotta – non permettono di analizzare in maniera univoca, sistematica e aggiornata la reale 'forza lavoro' del Ssn impegnata nell’erogazione dei Lea. Inoltre, i dati relativi al 2021 verosimilmente sottostimano la carenza di personale, in conseguenza di licenziamenti volontari e pensionamenti anticipati negli anni 2022-2023. Ancora, le differenze regionali sono molto rilevanti, in particolare per il personale infermieristico, maggiormente sacrificato nelle Regioni in Piano di rientro. Infine, i benchmark internazionali relativi a medici e infermieri collocano il nostro Paese poco sopra la media Ocse per i medici e molto al di sotto per il personale infermieristico, restituendo di conseguenza un rapporto infermieri/medici tra i più bassi d’Europa”.
21 servizi sanitari regionali
Questa è l’amara verità raccontata dai numeri: non esiste più un servizio sanitario nazionale ma 21 servizi regionali, molto differenziati tra loro non solo per capacità di erogazione delle prestazioni e dei Lea, ma anche dal punto di vista di modello organizzativo. E a farne le spese sono utenti e personale. Dice ancora Cartabellotta: “Stiamo inesorabilmente scivolando da un Servizio sanitario nazionale fondato sulla tutela di un diritto costituzionale a 21 sistemi sanitari regionali regolati dalle leggi del libero mercato. Con una frattura strutturale Nord-Sud che sta per essere normativamente legittimata dall’autonomia differenziata”.
Occorre intervenire
Il quadro è chiaro, il Rapporto della Fondazione Gimbe conferma le preoccupazioni e le valutazioni espresse dalla Cgil in occasione della presentazione della Nadef da parte del governo. E la Confederazione chiede 5 miliardi in più per prossimi anni al Fondo sanitario nazionale, un piano straordinario di assunzioni per tutte le professioni sanitarie investendo sul personale, il rilancio della rete ospedaliera, ridurre le liste di attesa. Per farlo occorre costruire la sanità di territorio, riformare la medicina generale, potenziare l’assistenza domiciliare, e i servizi di salute mentale e i dipartimenti per le dipendenze.
Cartabellotta avvisa: “Il preoccupante ‘stato di salute’ impone una profonda riflessione politica: il tempo della manutenzione ordinaria per il Snn è ormai scaduto, visto che ne ha sgretolato i princìpi fondanti e mina il diritto costituzionale alla tutela della Salute. È giunto ora il tempo delle scelte: o si avvia una stagione di coraggiose riforme e investimenti in grado di restituire al Ssn la sua missione originale, oppure si ammetta apertamente che il nostro Paese non può più permettersi quel modello di Ssn”.