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È positivo il rafforzamento del sistema sanitario con il potenziamento della rete assistenziale territoriale e della rete ospedaliera e un importante incremento per il 2020 di 3,2 miliardi del fondo sanitario nazionale. Occorre però aumentare stabilmente il Fondo sanitario nazionale anche per il 2021 e per gli anni seguenti, perché è da troppo tempo sotto finanziato, così come rendere strutturali le misure adottate per stabilizzare i lavoratori precari e potenziare il territorio. Ne parliamo con Rossana Dettori, segretario confederale della Cgil..
Il decreto Rilancio stanzia ulteriori 3 miliardi e 200 milioni di euro per la sanità. Sono sufficienti?
Lo stanziamento previsto dal decreto è sicuramente un primo passo visto che per anni si è definanziamento il servizio sanitario nazionale. È un primo passo ma non è sufficiente, dopo anni di tagli gli investimenti in sanità vanno molto potenzianti, auspico e spero che l’Italia acceda ai 37 miliardi del Mes, con quelle risorse si potrebbe davvero fare un piano di rilancio innovativo del servizio sanitario.
Una parte consistente delle risorse previste dal decreto, finalmente, sarà investita per rafforzare - in alcuni casi costruire – la sanità di territorio. Da dove cominciare?
Occorre, innanzitutto, iniziare con una riflessione molto attenta su ciò che serve ai cittadini invertendo la logica molto centrata al servizio e poco ai bisogni degli utenti. Bene l’istituzione dell’infermiere di famiglia o comunità era da tempo una nostra richiesta, ma per potenziare il territorio occorre partire dai medici di famiglia. Credo che tutti i medici di medicina generale nuovi assunti debbano essere dipendenti del Ssn (oggi non è così i medici di famiglia sono convenzionati con il Ssn, ndr), entrare nelle case della salute e coordinarsi con gli altri operatori. Per avere la presa in carico delle persone occorre costruire un sistema che funzioni a partire dalla prevenzione e dalla riabilitazione, due parole quasi spariti dagli obiettivi del servizio sanitario, parole cardine nella legge del ’78 che nel tempo hanno perso di centralità. Si spende poco e si investe poco in prevenzione e il Covid-19 lo dimostra, e si spende poco in riabilitazione colpendo così anziani e disabili che in fase pandemica hanno pagato il prezzo più alto. In più, se davvero si vuole costruire la sanità del territorio che sappia dare risposte complessive al bisogno di salute dei cittadini e delle cittadine, dall’alimentazione alla salubrità dell’aria fino alla diagnostica e alla cure per le quali non sia indispensabile l’ospedale, occorre coinvolgere i sindaci, conoscitori dei bisogni reali della popolazione.
Centri di salute mentale e consultori, due avamposti nel territorio della 883 del ’78 oggi molto carenti. Devono far parte di questo rilancio?
Sono parte essenziale del rilancio. I consultori, sono il luogo della presa in carico complessivamente della salute delle donne, e in origine anche dei bambini, non solo dal punto di vista medico ma anche come luogo di accoglienza e contrasto alla violenza di genere. E sarebbe opportuno anche pensare alla partecipazione delle donne all’attività e alla gestione dei consultori. Per quanto riguarda la salute mentale è drammaticamente pericoloso non costruire nel territorio le risposte per chi soffre di disagio mentale, in questi anni - all’inizio in maniera sotterranea oggi molto più esplicita – si sono ricostruiti modelli di tipo manicomiale. Per abbattere questa cultura occorre potenziare tutto il resto, dai servizi H24 alla presa in carico dei centri di salute mentali che vanno potenziati ed estesi. È un settore da portare a “normalità”.
Da quando è iniziata la pandemia i posti di terapia intensiva sono raddoppiati. Non funzionano, però, senza medici e infermieri. Sono sufficienti le previsioni di assunzioni di personale cui si fa riferimento nel decreto?
No, non sono sufficienti. Va certamente riconosciuto che rispetto alla pandemia governo e ministro della Salute si sono prontamente mossi per farvi fronte, così come hanno risposto bene gli italiani e le italiane. Abbiamo scoperto che i posti di terapia intensiva erano pochissimi e questa a volte era la causa delle lunghe file di attesa per gli interventi chirurgici d’elezione. Ora ci sono ma per farli funzionare c’è bisogno di medici, anestesisti, infermieri ed infermiere: quelli previsti nel decreto Rilancio sono una piccola goccia in un mare. Bisogna investire in personale, in professionalità specifiche, soprattutto occorre interloquire con l’università. Abbiamo bisogno di formare personale discutendo con le regioni quali siano le figure professionali di cui c’è carenza.
L’emergenza è finita, le terapie intensive si sono svuotate. Ora ripartono le visite ambulatoriali, le analisi e gli accertamenti strumentali sospesi a causa del Coronavirus, così come sono stati sospesi di interventi chirurgici programmati. E riesplode ancora più grave la questione delle liste d’attesa, che fare?
Occorre fare due cose. Partire immediatamente con il potenziamento della sanità territoriale. E bisogna investire in tecnologia, molto si può affrontare con la digitalizzazione e la medicina a distanza. Questi sono tutti strumenti che consentono di accelerare le prestazioni. Le liste di attesa era già un problema ben prima del coronavirus, chiediamo al ministro Speranza che su questa annosa questione si muova con rapidità per garantire l’effettiva fruibilità dei Lea (livelli essenziali di assistenza, ndr) nel sistema pubblico. Proprio la lungaggine delle liste di attesa è una delle cause dello spostamento verso il privato dei cittadini, acuendo diseguaglianze tra chi può accedervi e chi no. Per altro il sistema della sanità privata va anch’esso rivisto completamente. Il Covid ha reso evidente che sono due gambe che camminano parallele ma che a volte divergono in maniera incredibile, occorre rimetter mano al sistema degli accreditamenti. Ma bisogna velocemente dotarsi di tutti quegli strumenti, dal territorio al potenziamento delle specialistiche negli ospedali, per ridurre le liste, riprogrammando l’arretrato. Ovviamente occorre riorganizzare a aumentare i tempi di apertura dei servizi, per fare questo è necessario un grande e veloce piano di assunzioni nel servizio sanitario. Vorrei aggiungere una cosa. Non credo che il personale sanitario sia felice di fare l’eroe, chiede di lavorare con il riconoscimento pieno dei diritti, dal salario a ritmi di lavoro che permettano di coniugare la vita professionale e quella privata.
Infine, lo dicevi all’inizio, pensi sia giusto che l’Italia acceda ai 37 miliardi del Mes. Ma esiste una questione che riguarda anche il potenziamento del finanziamento ordinario della Sanità?
Assolutamente sì. I 37 miliardi del Mes sono una enorme boccata di ossigeno, vanno investiti e per questo chiediamo ci sia un tavolo per confrontarsi su come investire, occorre metter mano all’edilizia sanitaria sia quella ospedaliera che quella del territorio, bisogna costruire gli ospedali di comunità, insomma quei miliardi servono a mettere in sicurezza il servizio sanitario nazionale. Poi, però, bisogna tornare alla normalità. È necessario che tutti gli anni aumentino le dotazioni per il Ssn recuperando i tagli inferti in questi anni. La pandemia insegna, il Paese ha bisogno di un sistema sanitario efficiente in grado di affrontare la quotidianità e le eventuali emergenze, occorre quindi che venga potenziato, finanziato adeguatamente. A questo proposito muovo una critica al governo: è sbagliato il taglio a tutti dell’Irap, è giusto sostenere le imprese per ripartire, ma tagliare la tassa che al 50per cento finanzia il servizio a tutti anche a chi nelle settimane di lockdown ha visto aumentare i propri profitti è veramente un errore. Abbiamo la necessità, lo ribadisco, di mettere in sicurezza il sistema assicurandogli una dotazione finanziaria ordinaria adeguata, garantendo in tutta Italia il rispetto dell’articolo 32 della Costituzione.