Natale 2021: un anno di pandemia e vertenze arriva alla fine, lasciando sui tavoli del Mise decine e decine di situazioni complesse e lungi dall’essere risolte. I dati ufficiali del ministero, secondo le ultime dichiarazioni del ministro Giorgetti, parlano di 69 aziende per le quali si cerca una soluzione. Si contano a migliaia i lavoratori e le lavoratrici che, anche quest’anno, avranno poco da festeggiare e molto da perdere. "Un quadro impressionante", lo definisce la Cgil. 

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Ce lo racconta la mobilitazione della Cgil e delle sue categorie, ce lo raccontano i presìdi nella neve delle operaie di Saga Coffee a Gaggio Montano, ultima tappa di una storia di grandi, medie e piccole imprese che chiudono o delocalizzano inseguendo il profitto.

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A darci una mano sapiente nella mappatura complessa del puzzle di vertenze che disegna la crisi del Paese è Silvia Spera, responsabile crisi industriali e di settore, aree di crisi industriali complesse della Cgil nazionale. Con pazienza ricostruisce la filiera di una recessione in cui il dato comune resta “la mancanza di una politica industriale, di una prospettiva di ampio respiro che riesca a costruire un’idea di sistema produttivo che non si fermi al singolo settore o alla singola azienda, ma sia in grado di mettere insieme il quadro generale così da poter dare una risposta complessiva alle tante vertenze”. Tradotto, servirebbero idee e soldi. Le prime latitano o restano soffocate dalla cupidigia delle multinazionali che seguono sempre la traccia del denaro e la regola del costo del lavoro più conveniente. I secondi, con il Pnrr alle porte, ci sarebbero pure, ma come verranno investiti e allocati è tutto da vedere.

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Si parte dalla siderurgia, da quell’acciaio materia prima per tante produzioni fondamentali, dove il sindacato attende da tempo il famoso piano nazionale. Il settore, strettamente correlato alla questione della transizione energetica, è in sofferenza. Acciaieria Italia, la ex Ilva, con Taranto, Genova, Novi e le altre città coinvolte, e Jsw a Piombino sono i nomi di questa crisi. Con l’indotto parliamo di circa 15 mila lavoratori che attendono di sapere quale sarà il loro destino. Ai quali si aggiungono i circa 350 addetti della Sanac, un’azienda che affonda le radici proprio nel processo produttivo dell’acciaio, attualmente in amministrazione straordinaria.

Seguendo l’acciaio arriviamo al settore dell’automotive, il grande malato d’Italia. Ce lo racconta Torino. Ce lo raccontano le quattro crisi dell’indotto che si sono prese la ribalta nel 2021: i 422 addetti di Gkn, i circa 300 di Giannetti, i 110 di Timken e, più di recente, i circa 600 di Speedline.

Azzurra Ciani

Aperte senza tanti complimenti (le prime tre nel luglio scorso, l'ultima poco fa) da multinazionali gestite da fondi di investimento senza scrupoli, che decidono le produzioni seguendo le regole della finanza. Quattro nomi capofila di un settore, l’indotto automotive, ossatura del sistema industriale italiano, che sta già pagando “quel processo di riallocazione delle produzioni a livello mondiale che – ci spiega Silvia Spera –, complice anche l’atteggiamento di Stellantis, va verso un disimpegno crescente nella componentistica. Anche qui, se non c’è un progetto, una politica industriale di settore che investa risorse economiche, tecnologiche e di competenza nelle aziende del nostro Paese, fermare questa emorragia sarà sempre più complicato”.

Timide speranze adesso arrivano dalle ultime sullo stabilimento di Campi Bisenzio, dove gli operai Gkn stanno passando il Natale in fabbrica in attesa di capire meglio il proprio futuro dopo che nella notte del 22 dicembre il fondo Melrose Industries ha ceduto all'imprenditore Francesco Borgomeo, advisor dell'ex proprietà che ha deciso di rilevare il sito. Ora si apre una prospettiva di reindustrializzazione tutta da seguire.

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Una situazione non dissimile da quella di un altro settore nel quale per decenni l’Italia è stata territorio di eccellenze. Quello degli elettrodomestici. Whirlpool, Embraco, Acc (recentemente Elica, vertenza risolta sul filo di lana grazie anche al fatto che la multinazionale in questo caso era italiana).

Marco Merlini

Da Nord a Sud sono tante le roccaforti del bianco che stanno saltando. Napoli, Torino, Belluno, nonostante una storia di alta professionalità, non riescono a fermare le crisi. Alla Embraco la deadline per i licenziamenti è metà gennaio, alla Acc la fine dello stesso mese potrebbe essere l’ultima spiaggia. I governi Conte avevano appoggiato il progetto Italcomp, l’idea di aggregare le due aziende per fare un grande polo produttivo di compressori per frigoriferi che diventasse un faro per il settore in Europa. Il governo Draghi, evidentemente indisponibile a investire risorse pubbliche nell’impresa, lo ha abbandonato. E così, dopo anni di scorribande americane a Riva di Chieri e cinesi a Mel, due aziende che hanno fatto la storia di questo settore potrebbero sparire dalla cartina.

Altra partita che potrebbe guardare al futuro se non fosse impantanata nella crisi fino al ginocchio, è quella della fibra ottica e delle telecomunicazioni. Due nomi in un panorama di piccole e medie imprese che cercano riscontri e soluzioni: Flextronic a Trieste (580 lavoratori) e Prysmian a Battipaglia (circa 300 più l’indotto). Stabilimenti che fanno grandi cavi e che sono entrati nel mirino di multinazionali cinesi. Due produzioni che parlano la stessa lingua del Pnrr, per le quali i sindacati chiedono da tempo al governo un rilancio con l’obiettivo di dotare il Paese di moderne infrastrutture.

Filcams Genova

Per chiudere questo racconto non possiamo dimenticare gli altri settori aggrediti dalla crisi. Il tessile e calzaturiero, un settore che conta circa 75 mila addetti con un tessuto di piccole e medie imprese che si sviluppa soprattutto nelle Marche, in Puglia e in Campania: per far fronte a questa situazione la Cgil ha chiesto una proroga di altre 13 settimane di ammortizzatori che sostengano i lavoratori fino al 31 marzo. La grande distribuzione organizzata terremotata da annunci di ridimensionamento quali l’ultimo, in ordine di tempo, di Carrefour. Il sistema bancario. Il declino di porti e aeroporti, padre di quel far west che è la logistica in Italia. Giù giù fino a srotolare la vertenza Paese sui singoli territori e le aree di crisi complessa.

Natale magro, ancora una volta, e con il fiato sospeso, aspettando che il governo scopra le carte al tavolo del Pnrr. Per ora in quell’acronimo, per migliaia e migliaia di lavoratori italiani, l’unico comandamento resta Resistenza.