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Finalmente è arrivato. L’appuntamento è in piazza San Giovanni a Roma, la piazza dei sindacati. Per una manifestazione antifascista e per il lavoro. La Capitale si è vestita a festa, sfoggiando una delle sue ottobrate di sole e cielo terso. La distesa di prato e sampietrini davanti alla basilica è tirata a lucido. Il palco ricorda le grandi occasioni che sempre qui si sono celebrate.
È odioso il pensiero che sia necessaria, nel 2021 e proprio nel Paese dove il fascismo nacque, una dimostrazione di antifascismo. Non è bastato un secolo per cancellare questo virus dalla nostra società. Sono ancora tantissimi quelli che corrompono giovani menti distorcendo il racconto di un’ideologia che ha fatto solo vittime, tra le persone e tra i diritti. Sono ancora tanti, troppi, tra i giovani e i giovanissimi, quelli pronti a seguire i deliri di una leggenda fatta di prevaricazione e violenza. Abbiamo visto le loro facce distorte mentre devastavano il palazzo della Cgil, la nostra casa, la casa di tutti, appena una settimana fa.
Oggi, proprio come accadeva cento anni fa con le squadracce, ci colpisce il senso di impunità che ostentano mentre bloccano la Capitale e mettono a ferro e fuoco interi quartieri, annunciano dai palchi occupazioni e ricatti, come quello che avrebbero voluto porre al segretario generale Maurizio Landini, devastano e saccheggiano beni artistici di inestimabile valore e strumenti di lavoro pagati dai cittadini con le loro tessere di iscritti al sindacato.
Oggi, proprio come un secolo fa, ci inquieta l’idea che i vertici di certa politica possano pensare che lasciarli fare, “lasciarli sfogare”, non intervenire, possa aiutare a contenerne la rabbia e gli effetti. E sono tante le spiegazioni che, non tanto o non solo noi, ma l’opinione pubblica in generale dovrebbe avere dal governo per capire perché un corteo non autorizzato è potuto uscire da piazza del Popolo, bloccare il traffico fino a Corso Italia, entrare nel palazzo della Cgil dopo aver malmenato quegli unici sette poliziotti presenti e poi devastare l’edificio per decine di minuti prima di essere ricacciato fuori. In occasione di altre manifestazioni, autorizzate e pacifiche, la storia recente di questo Paese ha conosciuto un uso della forza pubblica da macelleria messicana, al punto tale che in alcune di queste occasioni inchieste hanno portato a condanne passate in giudicato.
Ci sarà tempo per ricostruire la verità dei fatti di quella che resta certamente una delle più gravi aggressioni portate al cuore del lavoro e della rappresentanza nella storia del Paese e di sicuro la più grave degli ultimi decenni. Oggi è il giorno della risposta, un giorno per gridare che la Costituzione di questo Paese è nata dalla Resistenza e dall’antifascismo. E per ribadire, ce ne fosse ancora bisogno, che il lavoro, nella nostra società, deve tornare al centro dell’agenda politica, economica, sociale, perché solo il lavoro, tutelato dai diritti, può salvarci da anni e anni di crisi finanziaria e, adesso, sanitaria.
Oggi è il 16 ottobre, ma sembra un po’ un Primo maggio, un po’ un 25 aprile. È il giorno del dolore per quello che è successo, del ricordo, ma anche dell’orgoglio, della militanza, dell’appartenenza, dell’unità e della voglia di futuro. Con la consapevolezza che da domani tutti, a partire dalla politica, devono rimboccarsi le maniche per vincere la battaglia culturale contro i neofascismi, per dare concretezza a quel grido, “mai più”, che oggi riempie il cielo di Piazza San Giovanni.