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“Occorre costituire un’unità operativa presso la presidenza del Consiglio per discutere con governo, imprese e sindacato la realizzazione di un piano straordinario per l’automotive, con risorse e investimenti per rilanciare un settore strategico per il Paese”. Questa la proposta, condivisa anche con Federmeccanica, Fim Cisl e Uilm Uil, lanciata da Michele De Palma, segretario nazionale Fiom Cgil e responsabile automotive, nel corso della sua introduzione all’assemblea nazionale “Safety car” che si tiene oggi (mercoledì 23 febbraio) a Torino.
L’iniziativa occupa l’intera giornata, a coordinarla è il segretario generale Fiom Cgil Torino Edi Lazzi. Nella mattinata sono previsti gli interventi del segretario generale Filctem Cgil Marco Falcinelli, di delegate e delegati Fiom e le conclusioni del segretario generale Cgil Maurizio Landini. Nel pomeriggio si tiene una tavola rotonda (moderata dal giornalista del Corriere della Sera Federico Fubini) cui partecipano il segretario generale Cgil Piemonte Giorgio Airaudo, il ministro del Lavoro Andrea Orlando, il presidente di Federmeccanica Federico Visentin, il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio e la segretaria generale della Fiom Cgil Francesca Re David.
“Un Paese che non ha un’industria è un Paese che non ha una sovranità economica”, ha spiegato De Palma, sottolineando quanto sia “incredibile che nel Pnrr non ci sia un euro per l’automotive”. Un settore che “non è questione esclusiva dei metalmeccanici, ma riguarda tutti i lavoratori. L’automotive è una ‘industria delle industrie’, è al centro di un cambiamento radicale che riguarda la produzione, l’organizzazione del lavoro, la mobilità e i servizi a essa collegati, la transizione tecnologica e ambientale”.
In Italia, ovviamente, l’automotive è soprattutto Stellantis. “Quando abbiamo detto che le fusioni dell’ex Fiat avrebbero determinato delocalizzazioni non ci hanno creduto”, ha ripreso il segretario nazionale Fiom: “Il punto è che non erano fusioni, ma uno ha acquisito l’altro”. De Palma ha poi aggiunto: “L’amministratore delegato Tavares ha sottolineato che i ricavi si sono triplicati. Ma si è dimenticato di dire che questo è stato possibile perché negli stabilimenti italiani sono dieci anni che si utilizzano gli ammortizzatori sociali”.
Per l’esponente sindacale, in Stellantis “si fanno solo 700 mila auto quando la capacità installata ne prevederebbe più del doppio, e questo mette a rischio anche tutte le aziende dell’indotto”. Per questo è necessario con il gruppo “ragionare complessivamente sul piano industriale, e non stabilimento per stabilimento”. Ma il punto è che Stellantis “non ha una visione dell’auto nel nostro Paese: il gruppo, e l’Italia nel suo complesso, ha un ritardo strutturale sul settore, e il Paese questo ritardo lo sta pagando a caro prezzo”.
Nei prossimi giorni, ha concluso De Palma, ci saranno “appuntamenti difficili da gestire, come le vertenze Bosch, Caterpillar, Denso, Marelli, Gkn: non possiamo affrontarle singolarmente, ma dobbiamo aprire una discussione complessiva”. Da qui la decisione di una campagna in marzo di assemblee in tutti gli stabilimenti dell’automotive in Italia, con l’obiettivo di fare “il contrario di quanto fanno le imprese: loro ti mettono in competizione, noi dobbiamo invece fare coordinamento, condivisione, coinvolgimento di tutti. Insomma, essere i driver del cambiamento”.
A chiudere la mattinata è stato il segretario generale della Cgil Maurizio Landini. Il suo intervento ha preso le mosse dal possibile conflitto armato in Ucraina: “Siamo di fronte a un rischio molto concreto, e la guerra la pagano le popolazioni, non quelli che la fanno. In queste ore stiamo discutendo con Cisl e Uil per chiamare lavoratori, cittadini e associazioni a scendere in piazza”. Landini ha evidenziato che “non si può passare dalla battaglia contro un virus a una guerra. I soldi andrebbero spesi per costruire un nuovo modello di sviluppo, per combattere il virus ed estendere la sanità pubblica nel mondo, non per una guerra che porterà con sé la crescita delle spese per gli armamenti”.
Il segretario generale Cgil ha rilevato che “siamo di fronte a una grande trasformazione tecnologica e ambientale. In discussione è l’attuale modello di sviluppo e di produzione: vi è la necessità di costruirne uno nuovo, sostenibile dal punto di vista sia ambientale sia sociale”. Il centro, però, rimane sempre la qualità del lavoro, perché “se chiedi alle persone di produrre cose nuove e in modo nuovo, devi però metterli nella condizione di realizzarsi nel lavoro, e quindi di non essere sfruttati o precari o sottopagati”.
Governare la transizione, dunque, è la grande questione del Paese. “Le scelte per i prossimi dieci o vent’anni si fanno adesso, è adesso che servono una visione complessiva e una vera politica industriale”, spiega Landini. Un esempio? “Se intendi spingere sulle auto elettriche, non puoi non porti il problema delle batterie, dell’alimentazione, delle colonnine per caricare. Avere una politica industriale, dunque, vuol dire costruire nuove filiere produttive che permettano di non acquistare dall’estero ciò che ti serve, ma di produrlo autonomamente”.
Il ‘patto’ tra Federmeccanica e sindacati sull'automotive è un importante esempio di cosa voglia dire avere una politica industriale. “Nessuno può risolvere da solo problemi di questa natura, tanto meno può farlo il mercato”, ha concluso Landini: “Stiamo chiedendo, da un lato, che ci siano luoghi in cui le organizzazioni sindacali possano discutere e non semplicemente ascoltare quello che viene proposto, dall'altro, che questa discussione venga fatta alla presidenza del Consiglio, con la presenza dei ministri competenti, e che non si discuta solo di una grandissima azienda come Stellantis, ma di tutto il sistema della componentistica italiana. È quanto sta avvenendo negli altri Paesi, dove la discussione non viene lasciata alle singole aziende, ma è una discussione di sistema”.