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Il 29 marzo del 1955 a Torino, per la prima volta, la Cgil è messa in minoranza nelle elezioni per le Commissioni interne alla Fiat. La Federazione perde non solo la maggioranza assoluta dei voti, ma anche il primato all’interno della più importante fabbrica italiana, superata dalla Fim-Cisl.
Il successivo 10 aprile scriveva su Lavoro un lucido e coraggioso Giuseppe Di Vittorio: “Sui sorprendenti risultati delle recenti elezioni delle Commissioni Interne del complesso Fiat si è concentrata l’attenzione di tutto il Paese. Questo è un fatto positivo, in quanto può contribuire a far conoscere largamente al Paese il clima di dispotismo e di ricatti padronali instaurato alla Fiat e in molte altre aziende, determinando condizioni più favorevoli allo sviluppo della lotta per il rispetto dei diritti democratici e della dignità dei lavoratori nei luoghi di lavoro”.
“Sarebbe tuttavia un grave errore - continuava Di Vittorio - se noi, individuando e denunciando l’azione illegale e ricattatoria del grande padronato, sottovalutassimo la gravità del colpo inferto alla Fiom e alla Cgil nelle recenti elezioni della Fiat; se noi, cioè, tentassimo di scagionare ogni nostra responsabilità nella sconfitta. Ciò non sarebbe degno di una grande organizzazione come la Cgil, la quale affonda le sue radici in tutta la gloriosa tradizione del movimento sindacale italiano, ne rappresenta la continuità storica ed ha tutto l’avvenire davanti a sé”.
“Una nostra responsabilità, pertanto - proseguiva - vi è certamente nella sconfitta subita alla Fiat. Il compito nostro è quello di scoprire, assieme a tutti i lavoratori della Fiat, quali sono stati i nostri errori, le nostre lacune, le nostre debolezze (…) Alla Fiat (…) hanno vinto momentaneamente i padroni, ha vinto la paura della fame (…) Nessuno si illuda che l’insuccesso del 29 marzo abbia inflitto un colpo decisivo alla Cgil. La più grande organizzazione, libera e unitaria, dei lavoratori italiani si è temprata e sviluppata nelle alterne vicende della lotta per l’emancipazione del lavoro. Essa è stata scalfita da vari insuccessi ma non è mai stata vinta”.
“Di Vittorio - scriverà anni dopo Rinaldo Scheda nel suo diario personale - mi aveva colpito in tante fasi della sua vita sindacale. Ci sono però due episodi che mi rimarranno impressi nel tempo che mi resta da campare (…). Uno dei due si verificò in una riunione del Comitato direttivo confederale svoltasi a Roma al primo piano della sede di Corso Italia. È una riunione che fece scalpore. La lista della Fiom per la nomina della Commissione interna alla Fiat aveva subito una dura sconfitta. (…) La relazione di Di Vittorio espose le ragioni, le cause di quello smacco. Conoscevo ormai in quel periodo la sua personalità. Le luci e anche alcune ombre. Per esempio sapevo che il sottoporre il suo lavoro ad un esame autocritico gli costava una certa fatica. Era un comportamento che derivava dalla sua forte personalità. Quella relazione la ricordo ancora oggi, a tanti anni di distanza, come una pagina esemplare, una lezione di vita”.
“La situazione sindacale - affermava Vittorio Foa nella riunione di Direzione del Psi del 19 aprile 1955 - è gravissima. La maggioranza della classe operaia ha perso la fiducia nella organizzazione sindacale. (…) Perché gli operai hanno perduto fiducia? Perché i nostri sindacati sanno reagire alle forme più arretrate del patronato agrario e industriale, non a quelle moderne. Tipico l’esempio della Fiat dove la Fiom è stata schiacciata. Il patronato ha formato un nuovo ceto sociale. Bastone e carota, sì (…) Cambiare gli uomini e gli indirizzi in un diverso quadro politico. Riprendere contatto con gli operai. Sul piano politico il nostro errore è stato non renderci conto che le cose si mettevano in cammino”.
Dopo la sconfitta, probabilmente su suggerimento proprio di Vittorio Foa, Giuseppe Di Vittorio invia a Torino un giovane del quale cui negli anni a seguire si sentirà parlare molto: Bruno Trentin. Il suo rapporto, redatto con i dirigenti della Camera del lavoro torinese, sarà decisivo per cambiare la strategia della Cgil e l’orientamento del segretario generale, determinando il cosiddetto ritorno in fabbrica del sindacato.
“Trentin - scriverà Iginio Ariemma - ha sempre considerato Foa uno degli artefici principali della svolta che condusse la Cgil a ripensare la strategia sindacale, ponendo al centro i problemi relativi alle condizioni e alla organizzazione del lavoro. E pour cause Di Vittorio fece nominare subito Foa e Novella, l’altro protagonista della battaglia, come nuovi segretari della Fiom. Anche Trentin però svolse allora una funzione importante: infatti, per un paio di mesi, insieme ai compagni della Camera del lavoro di Torino redasse una ricerca sulla condizione dei lavoratori della Fiat che fu decisiva per convincere Di Vittorio sul cambiamento di strategia”.
Il “ritorno alla fabbrica” diventerà lo slogan che accompagnerà la ripresa sindacale dalla metà degli anni ’50 e la svolta rivendicativa sarà precisata nei due successivi Congressi, il IV (svoltosi a Roma nel febbraio-marzo del 1956) e il V (tenuto a Milano nell’aprile del 1960).
Al Congresso di Milano la Cgil sceglie in modo netto la politica della contrattazione articolata, che mira a dare un maggior peso sia alle categorie nazionali, sia alle strutture di fabbrica, sviluppando, accanto al contratto nazionale, gli accordi decentrati.
La vertenza degli elettromeccanici milanesi, conclusa con la firma di decine di accordi aziendali vittoriosi, dimostrerà la validità della nuova linea.
“La più grande organizzazione libera e unitaria, dei lavoratori italiani - diceva del reso correttamente Giuseppe Di Vittorio - si è temprata e sviluppata nelle alterne vicende della lotta per l’emancipazione del lavoro. Essa è stata scalfita da vari insuccessi ma non è mai stata vinta”. Mai.