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Dodici anni: dal 2013 al 2025. E poi non si sa cosa accadrà. È la storia di Giovanni Coletti, paleontologo, ricercatore precario alla Bicocca di Milano con un sogno: entrare all’università per fare ciò che più gli piace, insegnare e studiare. Uno dei tanti che la nostra università, tuttavia, rischia di perdere o allontanare per colpa di percorsi incerti, faticosi e con poche tutele. Una condizione che, se il ddl Bernini-Resta sul pre-ruolo diventerà legge, rischia di peggiorare ancora (qui il link per aderire alla petizione on-line per fermarlo).
“E comunque - racconta Colletti - la mia è nonostante tutto una storia fortunata, mi piace lavorare alla Bicocca di Milano e ci sono tantissime persone in una situazione ben peggiore della mia. Detto questo, questi anni di precariato sono veramente troppi”.
Vediamo, dunque, quella che può essere una carriera “esemplare” nell’università italiana di oggi e neanche delle peggiori. “Sono nato a Genova il 4 gennaio del 1989. Mi sono laureato in geologia triennale nel 2010 nella mia città e poi nel 2012 ho finito la magistrale. Nel 2013 ho iniziato il dottorato, che ho concluso nel 2016. Per me il percorso del precariato inizia da qui”.
In che senso? “Nel senso che sei già un lavoratore della ricerca, anche se ti considerano uno studente. In realtà fai lezioni, esami, segui tesi, insomma lavori”. Ovviamente senza nessuna delle tutele che un normale lavoratore ha.
Di qui inizia un percorso tortuosissimo che ancora non ha trovato uno sbocco stabile. Ma prima, per Coletti, ci sono stati due anni di “buco”, con un lavoro come consulente per un’azienda che a sua volta lavorava per Eni. Subito dopo, racconta ancora, “ho avuto una borsa di studio da un centro interuniversitario sulla ricerca in mare e poi un post-doc molto breve di tre mesi all’università di Friburgo in Svizzera. Quindi un assegno di ricerca ex legge Gelmini fino al 2021. A questo punto, sono rimasto disoccupato, anche se nel 2021 ho preso l’abilitazione da professore associato. Pensa che mi ha aiutato un collega cinese con cui avevo lavorato e che mi ha passato un po’ di soldi dai suoi fondi di ricerca: con questi spiccioli ho tirato avanti a maggio del 2022, quando sono diventato ricercatore a tempo determinato di tipo A, un contratto che però scadrà a maggio 2025”.
Un percorso lunghissimo, osserva il ricercatore, “in cui ho corso, ho lavorato, ho studiato, portato a termine una miriade di pubblicazioni, seguito tutto il percorso delineato dalla legge Gelmini, e qual è il risultato?. Non mi posso lamentare, ripeto, ho avuto persone che mi sono state vicino, che mi hanno aiutato, ma la situazione è che, dopo 13 anni, vivo e lavoro nell’incertezza”.
Non solo: “Pur avendo lavorato per 10 anni, non ho alcuna forma di contributo previdenziale e se pure riuscirò a essere stabilizzato in futuro avrò una pensione ridicola. E allora guardo ai miei coetanei che hanno interrotto gli studi per andare a lavorare - lavori normalissimi - e che dal punto di vista previdenziale non raggiungerò mai”.
E dire, sottolinea amaramente il ricercatore, che “da bambino mi dicevano: ‘studia!’, ‘studia!’. Il risultato è questo. È certo che se avrò figli, sconsiglierò loro di entrare all’università, perché è una scommessa che non paga, fatto salvo per quei campi in cui la domanda è superiore all’offerta”. E proprio per questo, continua, “trovo assurdo con la legge Bernini-Resta precarizzare ancora di più un percorso che già così è fortemente penalizzante e incerto”.
Già, incerto: cosa succederà a Coletti a maggio del 2025 quando scadrà il suo contratto di ricercatore a tempo determinato? “Può essere - risponde - che il mio contratto venga prorogato, ma solo se l'università o il progetto che finanzia la posizione avranno disponibilità economica. L'altra opzione è, qualora ci sia un bando, quella di vincere un concorso da ricercatore sempre a tempo determinato ma di tipo Rtdb (quelli che rappresentano un approdo abbastanza sicuro alla stabilizzazione, ndr) o addirittura un posto di associato, sempre attraverso un concorso. Oppure, ovviamente, il licenziamento”.
Coletti ama il suo lavoro e non mollerà: “Mi trovo benissimo alla Bicocca e spero di rimanere qui”, dice. In tanti, però, sono in una situazione come questa che ci allontana sempre più dal resto dell’Europa. Con il ddl in discussione sarà ancora peggio. “Quando mi sono laureato i ricercatori a tempo determinato erano un migliaio, ora sono quasi 10 mila e anche il numero di assegnisti è aumentato. ”. Siamo sicuri che è questa l’università che vogliamo?