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“Il settore automotive nel nostro Paese rischia la dismissione, anziché affrontare la transizione ecologica e tecnologica”. A dirlo sono Michele De Palma (segretario generale Fiom Cgil) e Samuele Lodi (coordinatore nazionale Fiom Cgil), commentando l’incontro che si è tenuto mercoledì 7 agosto al ministero delle Imprese: “È ora di passare ai fatti, anche con una posizione condivisa in Europa”.
I due esponenti sindacali chiedono “un accordo complessivo sul settore, con una dotazione straordinaria di risorse economiche e normative per la giusta transizione che faccia perno sui lavoratori della ricerca, sviluppo e produzione, favorendo investimenti privati, anche di altre case automobilistiche e che consolidi la componentistica”.
La questione Stellantis
“È ora che Stellantis, pilastro dell’industria dell’auto in Italia, chiarisca i piani su marchi, modelli e stabilimenti e le previsioni di budget sui volumi”, proseguono: “È ora di fermare le uscite e progressivamente ridurre la cassa integrazione, sperimentando riduzioni di orario sostenute dalle politiche pubbliche anche per l’indotto, per rigenerare un piano di assunzioni e formazione delle competenze. Un anno di confronto non ha determinato cambiamenti”.
I numeri sono chiari: in un anno “la cassa integrazione è aumentata e gli investimenti, a partire dalla ricerca, sviluppo e produzione, non sono arrivati. Siamo l’unico Paese europeo dell’auto senza la produzione di batterie e con volumi che ci vedono scendere nella classifica nonostante i cospicui incentivi all’acquisto garantiti da risorse pubbliche”.
Gli incentivi
Il ministro Urso ha presentato un report relativo all’andamento degli incentivi all’acquisto per il 2024 (che non ha raggiunto l’obiettivo di incrementare la produzione interna) e il progetto del governo afferente il nuovo impianto di incentivi all’acquisto per il triennio 2025/2027 che “recepisce la nostra richiesta di dare incentivi a chi inquina di meno, producendo componenti vicino agli stabilimenti di assemblaggio, per salvaguardare l’occupazione nella componentistica”.
Per De Palma e Lodi “il piano tende a valorizzare la catena di fornitura europea, come da nostre richieste”. E ritengono fondamentale “non tanto incentivare l’acquisto, quanto gli investimenti e attrarre nuovi produttori nel nostro Paese. Gli altri due criteri alla base dei nuovi incentivi sono: elevati standard sulla cybersecurity e il rispetto dei diritti umani e del lavoro nei Paesi produttori la componentistica.
Le risorse che verranno messe a disposizione sono 750 milioni di euro per il 2025 e 1 miliardo all’anno dal 2026 al 2030. “Eventuali modifiche – precisano i dirigenti Fiom – saranno conseguenti a possibili cambiamenti delle politiche della Commissione europea nell’ambito della transizione all’elettrico, che dovrà tra l’altro esprimersi sugli eventuali dazi per l’importazione di auto prodotte in Cina (entro il 3 novembre) e su conferme o modifiche rispetto la normativa Euro7”.
Le mosse dell’esecutivo
“Continua l’attività del governo alla ricerca di un secondo produttore automobilistico che investa nel nostro Paese”, aggiungono De Palma e Lodi: “Diverse case automobilistiche cinesi sono state oggetto di più incontri per raggiungere traguardi di collaborazione, prima, e conseguentemente investimenti produttivi in Italia. Dongfeng è la prima casa automobilistica cinese (di tre) con la quale in questi giorni è stato firmato un accordo per suoi prossimi investimenti in Italia”.
Continua pure il confronto tra governo e Stellantis, iniziato nel giugno 2023, che ancora non ha raggiunto gli obiettivi prefissati: crescita produttiva fino a un milione di veicoli l’anno, garanzie per la salvaguardia delle imprese della componentistica, tutela occupazionale e ricambio generazionale, chiarezza relativa all’investimento di Acc per la gigafactory a Termoli. Punti che devono essere tutti positivamente raggiunti per liberare le risorse pubbliche per gli accordi di sviluppo”.
De Palma e Lodi evidenziano anche che “in un mercato di circa 1,5 milioni di auto immatricolate all’anno, Stellantis, unico produttore in Italia, ne produce meno di 500 mila. Gli spazi per altri costruttori, quindi, sono assolutamente percorribili. A determinate condizioni, però: partnership con soggetti industriali italiani, presenza dello Stato nella compagine societaria e vincoli per quanto riguarda la catena di fornitura, oggi presente in Italia, e rispetto delle norme e del contratto nazionale. Solo così si riuscirà ad arrestare il processo di dismissione dell’industria automobilistica in atto in Italia ormai da anni per responsabilità di Stellantis”.
La situazione generale del settore
Nel 2024 si stanno producendo meno auto che nel 2023 (- 29,2% nel primo semestre). “È cresciuto significativamente – evidenziano gli esponenti Fiom – l’utilizzo degli ammortizzatori sociali, intaccando anche stabilimenti che da anni non conoscevano la cassa integrazione come la ex Sevel di Atessa. Inoltre continua a diminuire il numero di lavoratori dipendenti a fronte delle uscite volontarie incentivate”.
E ancora: “L’indotto sta vivendo una crisi senza segnali di inversione a fronte delle scelte strategiche di Stellantis di spostare la catena di fornitura in Paesi con minor costo del lavoro e minori tutele per i lavoratori. Infine si prosegue nello spezzettamento del gruppo, con l’annunciato spin off di Comau a un fondo di investimento”.
Per De Palma e Lodi tutto questo “nulla c’entra con il processo di transizione ecologica ed energetica. Semplicemente e drammaticamente è la messa a terra del piano di disimpegno di Stellantis nel nostro Paese. Un disimpegno che ricade tutto su lavoratori e lavoratrici: Stellantis, infatti, ha chiuso un bilancio 2023 con un risultato operativo di oltre 330 milioni di euro (rispetto un -375 milioni di euro nel 2022) e con un aumento significativo della produttività con un valore aggiunto per addetto che passa da 80.600 euro del 2022 a 112.000 euro del 2023, un’azienda che fa efficientamento e incrementa i profitti”.
Il governo, conclude la Fiom, deve “assumersi la responsabilità di agire in termini di sistema. Non si possono affrontare le diverse crisi con tavoli specifici e chiusi in se stessi. La questione delle politiche industriali la si affronta solamente con un confronto tra presidenza del Consiglio, ministeri interessati, sindacati e aziende (in questo caso Stellantis). I settori industriali strategici come quello dell’auto vanno difesi e rilanciati attraverso una strategia condivisa, e le lavoratrici e lavoratori non possono rimanere fuori da questo processo. Senza risposte ci mobiliteremo”.