Torino era la Fiat. La Fiat era Torino. Oggi non è più così: la lenta dismissione di Mirafiori consuma la città e incombe su un futuro mai così plumbeo. Fuori dai cancelli storici del grande stabilimento non risuonano più i canti di lotta operaia, ma le proteste dei cassintegrati: “Vogliono chiudere tutto, questa è la nostra impressione”. Intanto i quartieri si svuotano, i negozi chiudono, i parchi restano orfani dellevoci dei bambini, e la povertà aumenta ovunque.
Il 2024, d’altronde, sarà ricordato come l’anno nero di Stellantis in Italia. I volumi produttivi sono stati pari a 25.920 unità rispetto alle 85.940 rilevate nel 2023. Lo scorso è stato il 18esimo anno di cassa integrazione consecutiva per Mirafiori, e dal 2006 la produzione è diminuita del 90%. Senza tener conto dell'indotto, nel quale secondo la Fiom Cgil s'è assistito a un vero e proprio “Armageddon”.
E Torino non poteva non risentirne. Ha provato a reagire, certo, ma puntando forte solo su turismo e sui grandi eventi, come le Finals di tennis o il Giro d'Italia. Ma non è bastato, e non basta, “perché tutto questo luccichio produce soltanto lavoro povero, senza prospettive, senza indotto”. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: dal milione e duecentomila abitanti del 1971, la “capitale dell'auto” è passata ad avere oggi poco più di ottocentomila residenti.
“Eravamo una città ricca, che attirava migranti da tutta Italia grazie all'industria. Senza quella siamo diventati un porto di passaggio, perché qui di lavoro non ce n'è più. E quello che c’è non crea ricchezza. Questa città rischia di svuotarsi. Perché da troppi anni la Stellantis non punta più né sull’Italia né su Torino.”