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In media il 44 per cento degli europei dai 15 anni in su pratica qualche attività fisica almeno una volta a settimana. In Italia questa quota è al 27 per cento. D’altra parte la spesa pubblica annua destinata allo sport nel continente è alta, 134 euro per abitante. La Francia si attesta ben al di sopra con 216 euro, 14,6 miliardi totali, trainata certamente dagli investimenti per le Olimpiadi 2024.
La Germania dedica 119 euro, la Spagna 126 euro, mentre l’Italia, nonostante il miglioramento degli ultimi anni è ferma a soli 88 euro per cittadino. Siamo quindi il fanalino di coda quanto a impegno sullo sport di base: si pratica poco e s’investe troppo poco.
Pochi investimenti
“Nonostante le novità intervenute nel 2018, con la creazione dell’azienda del ministero dell’Economia ‘Sport e salute’, che ha ereditato i compiti operativi del Coni, non ci siamo avvicinati alla media europea”, afferma Roberta Turi, segretaria Nidil Cgil, nell’introdurre l’iniziativa “Sport e lavoro in Italia” (Futura editrice), il secondo “Libro bianco” sul settore, a cura dell’istituto di ricerca SL&A, presentato oggi (18 luglio) a Roma nella sede nazionale del sindacato.
"Continua a esserci uno scarso finanziamento allo sport di base e sociale”, riprende Turi: “Nel frattempo, con l’ingresso in Costituzione, avrebbe dovuto diventare un diritto di tutti e di tutte, ma siamo ancora lontani da questo obiettivo. Sport significa promuovere benessere e fare prevenzione, e in un Paese che invecchia sempre di più dovrebbe essere una priorità”.
Differenze di genere
Tornando all’Europa, in media sono più gli uomini (47 per cento) che le donne (42 per cento) a praticare regolarmente attività fisica, con alcuni distinguo nei Paesi del Nord. Dove la partecipazione sportiva è più elevata, Danimarca, Svizzera, Germania, Lussemburgo e Austria, la percentuale di donne è superiore o pari a quella maschile: il più alto divario di genere a favore delle donne viene registrato in Danimarca.
1 milione di occupati
Il primo “Libro bianco” del Nidil, intitolato “Lo sport come lavoro” e presentato nel 2018, aveva al centro gli occupati del settore, oltre un milione di persone che nella maggior parte dei casi svolgevano l'attività in modo prevalente ed esclusivo, spesso ricevendo come compenso solo rimborsi spese, diarie e piccole cifre. Un quadro desolante su cui era evidente che fosse necessario intervenire da un punto di vista normativo.
La riforma del settore
“Nel 2019 è iniziato l’iter legislativo che ha portato nel settembre 2023 alla nuova disciplina del diritto sportivo con alcuni cambiamenti positivi”, prosegue Turi: “Finalmente si prevede, per esempio, che anche ai collaboratori sportivi vengano versati i contributi, seppur in misura ridotta rispetto alle altre collaborazioni coordinate e continuative. Purtroppo la riforma non ha portato, invece, la copertura assicurativa dell’Inail in caso di infortuni e malattie professionali. Quindi le novità introdotte non sono ancora sufficienti a garantire diritti e tutele dignitosi: è necessario che nei prossimi anni si facciano ulteriori passi in avanti”.
Dalla legge alla realtà
Il diritto a praticare sport a qualunque età, garantito in Costituzione, deve perciò andare di pari passo con i diritti delle persone che sono occupate in questo ambito a essere trattati come tutti gli altri lavoratori. Ma a oggi, a quasi un anno dall’entrata in vigore della riforma, non si sa cosa stia succedendo agli occupati nelle società, federazioni, associazioni. È stato istituito un organismo all’interno del ministero dello Sport, un osservatorio che deve verificare il processo di introduzione delle novità legislative, ma non sono stati ancora resi noti dati.
Rappresentare e contrattare
“Sui territori molti lavoratori ci hanno contattato in questi mesi perché gli è stato chiesto di aprire una partita Iva”, aggiunge l’esponente sindacale: “Insomma, c’è stato un iniziale caos sulle collaborazioni e spesso le società hanno tentato di scaricare tutti i costi della riforma sui lavoratori. Come sindacato continuiamo a costruire rappresentanza, c’è tanto da fare. Dopo le assemblee e le iniziative dobbiamo organizzare gli occupati e migliorare la loro condizione attraverso la contrattazione collettiva”.
A gennaio ci hanno provato Slc Cgil, Fisascat Cisl e Uilcom Uil sottoscrivendo, con la Confederazione italiana dello sport-Confcommercio, il contratto collettivo dei lavoratori dello sport. Conclude Turi: “Purtroppo viene applicato solo a una parte di chi opera nel settore, per questo è necessario intensificare i nostri sforzi”.