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Persone che lavorano in un’azienda come somministrati anche per 10 anni. Altre che dopo un tot di tempo, uno, due o tre anni, vengono lasciate a casa perché sostituite da nuova forza lavoro. Donne che quando rimangono incinte si vedono interrompere la missione perché la società utilizzatrice le scarica. E poi: una parità di trattamento prevista per legge che però non viene rispettata: stipendi più bassi, niente premi aziendali, niente ticket.
Tra le tante forme di precarietà, la somministrazione è la tipologia che più assomiglia al lavoro vero, quello dipendente, con diritti e tutele. Ma se la si guarda da vicino e si entra nel merito delle diverse situazioni, si scopre che non è così.
Tante vertenze
Lo dimostrano le tante vertenze aperte in giro per l’Italia. Prendiamo la LFoundry. Produce ad Avezzano semiconduttori, componenti che hanno campi di applicazione sterminati nell’industria, dalle videocamere ai telefoni cellulari, dai computer agli elettrodomestici, dalle auto ai treni. Impiega 1.350 lavoratori diretti e 227 somministrati.
E fin qui niente di strano. Se non che i circa 80 operai con contratto a termine o part-time sono in realtà molti di più perché su quelle postazioni ruotano molte più persone, con un meccanismo di turn-over selvaggio. I 36 carrellisti e i 99 operai in staff leasing (cioè assunti a tempo indeterminato dall’agenzia per il lavoro) subiscono ogni due anni un cambio di datore a seguito degli accordi commerciali che la società intrattiene con le agenzie.
A termine, part-time, a disposizione
Chi raggiunge i 36 mesi di contratto a termine, viene mandato a casa ma tenuto in panchina per fare le cosiddette sostituzioni, magari 3 o 4 giornate al mese, a disposizione della LFoundry perché il territorio non offre tante possibilità, i lavoratori non trovano altro, l’azienda gioca su questo fatto e se ne approfitta.
E ancora: dopo i famosi 36 mesi di full-time (un accordo aziendale lo consente), i lavoratori vengono assunti a tempo indeterminato dall’agenzia ma a part-time, quindi con uno stipendio proporzionalmente ridotto rispetto a prima. Come se non bastasse, ai part-time diurni al 50% viene chiesto spesso di fare i turni supplementari, con piccole maggiorazioni ma senza maturare i ratei di tredicesima, tfr, ferie.
Flessibilità a vantaggio delle aziende
“Ci sono uomini e donne che si alzano tutte le mattine da dieci anni per andare in azienda a lavorare da precari, cioè come somministrati – ci dice Diego Di Francesco, Nidil Cgil L’Aquila –. E quelli che dopo anni di turni di 12 ore non vengono rinnovati perché l’azienda vuole gente fresca. La presenza dei somministrati in questa fabbrica non risponde a nessuna esigenza di flessibilità, come prevede la legge, ma è una condizione strutturale e costante: stiamo parlando in pratica di posti di lavoro strutturali che dovrebbero essere occupati da lavoratori strutturali”.
Alla ricerca della stabilizzazione
Per questo i sindacati Fiom, Fim e Uilm e le categorie degli atipici Nidil, Felsa e Uiltemp chiedono la stabilizzazione dei precari: la somministrazione in questo caso non risponde a esigenze di aumento di attività, magari per l’arrivo di una commessa all’improvviso, o a un picco di lavoro o alla gestione del periodo di ferie del personale diretto, è solo un escamotage per risparmiare.
Come accade anche alla Eismann, filiale di San Pietro Mosezzo (Novara), ditta che vende surgelati: una dozzina di lavoratori sono lì da anni, alcuni anche 10, uno addirittura da 20 anni, prima in una cooperativa e poi in un’agenzia.
Non si rispetta il contratto
“Qui non sono rispettate le norme contrattuali che prevedono la parità di trattamento retributivo, non vengono erogati i ticket per il pasto, e c’è un sottoinquadramento rispetto alle mansioni svolte – spiega Lucia Penna, Nidil Novara e Verbano Cusio Ossola -. E, quel che è peggio, è violata la disciplina sulla salute e sicurezza di chi opera in celle frigorifere a meno 18° con i giusti tempi di permanenza e le dovute pause per il riequilibrio della temperatura corporea". La cosa certa, al momento, è la volontà di Eismann a continuare nel tempo a utilizzare questi lavoratori in maniera precaria: non ha nessuna intenzione di procedere a un percorso di stabilizzazione.
“I somministrati hanno scioperato, nonostante siano ricattabili – conclude Penna -: l’azienda utilizzatrice infatti può interrompere la missione in qualsiasi momento e questo sarebbe un bel problema per loro, ma sono convinti a proseguire lo stato di agitazione, perché stufi di vivere e lavorare in quelle condizioni”.
Un accordo unico
Anche se somministrazione vuol dire sempre precarietà, non dappertutto equivale a disparità di trattamento. In Logista Italia, che opera all’interno dei magazzini di Philip Morris International in provincia di Bologna, è stato sottoscritto da Nidil e Felsa un contratto integrativo aziendale per i somministrati con l’agenzia Opnejobmetis: viene confermato per tre anni un premio a favore dei lavoratori con un’ anzianità di due anni e oltre, riconfermato il premio di risultato variabile e inserita una parte normativa per la promozione di iniziative per le pari opportunità, su molestie e violenze nei luoghi di lavoro, un pacchetto di misure importanti per la conciliazione dei tempi.
“Il nostro auspicio - dichiara Gaia Stanzani, Nidil Cgil Bologna - è che questo accordo, unico nel suo genere, possa essere esteso anche ad altre realtà in città dove la somministrazione è diffusa”.