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Centomila iscritti e iscritte: Slc Cgil è una categoria innovativa e di frontiera. Da due giorni ha un nuovo segretario generale. Riccardo Saccone succede a Fabrizio Solari che andrà a presiedere l’Associazione Connet, una sorta di centro studi della categoria. Saccone conosce assai bene le contraddizioni della categoria, essendo arrivato al sindacato da lavoratore della Wind. Nel suo intervento programmatico ha detto: “La nostra categoria si trova al cospetto di una trasformazione che andrà a incidere nel profondo. Dovremo saperla gestire con lo sguardo puntato al futuro del lavoro e di una società sempre più interconnessa, che non dovrà lasciare indietro nessuno”.
Fra i dossier aperti, certamente quello di Tim e del settore strategico delle telecomunicazioni, in forte crisi nel Paese. Ma di rilievo, per la complessità politica e sociale che le caratterizza, sono anche la Rai ed il futuro del servizio pubblico radiotelevisivo, Poste Italiane, oggi a rischio privatizzazione.
La Slc, il sindacato dei lavoratori della comunicazione, è una categoria delicata e particolare, rilevante e forse difficile perché è una categoria di frontiera. Rappresenta tanti settori anche in parte diversi l'uno dall'altro, tutti accomunati da un elemento: sono tra i protagonisti della transizione digitale. Penso ai call center per arrivare alla Rai, ovviamente alle Tlc, ma anche all'industria editoriale o lo spettacolo dal vivo e l'audiovisivo. Insomma quella che hai davanti per i prossimi quattro anni è una sfida complicata.
Slc è una grande categoria: ha una storia ormai trentennale che nasce già a seguito di un interrogarsi della Confederazione su come stavano cambiando le cose, nasce dall'unione di altre realtà che già esistevano. È appunto, come hai detto, di frontiera. Ma soprattutto è una categoria solo apparentemente eterogenea: rappresentiamo tutte le fasi del processo produttivo, abbiamo uno sguardo completo su buona parte di quelle attività umane che presentano l'interazione fra le persone. Interazione che può essere di natura culturale, di natura tecnologica, di natura economica. Siamo le strade che costruiscono le interazioni, siamo i contenuti che animano queste strade. Credo siamo una risorsa per la Confederazione perché siamo la sentinella sull’innovazione.
Anche i settori rappresentati da Slc sono stati colpiti dalla mercificazione e dalla svalorizzazione del lavoro, che ha colpito particolarmente i lavoratori e le lavoratrici.
Assolutamente sì. Con il passaggio dalla lira all'euro si è deciso che non si poteva più usare la leva della svalutazione della moneta per dare competitività al Paese: si sono quindi svalutati i salari, per riuscirci ovviamente si è dovuto svalutare il lavoro. Da più di vent'anni infatti in Italia esiste un problema salariale che va a colpire, paradossalmente, molto più quelle realtà dove ci sarebbe bisogno di mettere a terra un piano industriale, un progetto, non solo di azienda o di settore, ma anche di Paese. Anche su questo noi rappresentiamo la sentinella di ciò che sta avvenendo. La questione di Tim è paradigmatica: proprio mentre inizia la transizione digitale e ci sarebbe bisogno di un campione nazionale delle telecomunicazioni anche a controllo pubblico, di quelle reti immateriali che diventeranno poi la base anche delle reti materiali. Proprio in quel momento l’Italia decide di abbandonare qualsiasi velleità di politiche industriali. Paradossalmente e inevitabilmente quella cosa lì si traduce in un piano inclinato negativo che porta diretto al digital divide del Paese: nella migliore delle ipotesi diviso in due ma non necessariamente Nord-Sud, riguarda – ad esempio - tutte le aree interne. Insomma il Paese rischia l’irrilevanza tecnologica e quindi sociale ed economica. È normale che molti distretti industriali in diverse zone del territorio non riescono ad avere la banda ultralarga e quindi devono molto spesso fare riferimento agli operatori virtuali satellitari?
Durante il lockdown causato dal Covid abbiamo tutti quanti scoperto come fosse fondamentale potersi connettere, anche per lavorare da casa; come fosse fondamentale avere uno strumento come la televisione che ci consentiva di rimanere collegati con il mondo fuori dalle nostre case; come la catena della logistica fosse fondamentale per il recapito a casa degli alimenti e dei beni. Tutti settori della Slc.
Credo non abbiamo capito la lezione della pandemia, ci siamo concentrati sul dito e non sulla luna. Dietro ciò che hai elencato c'è la transizione digitale, ma per funzionare e realizzare il suo potenziale è necessario avere una idea di sviluppo, unìidea di Paese. Per molti anni ci siamo baloccati con il fatto che circa il 98-99 per cento della popolazione fosse coperta dalla rete mobile. Ma quella tecnologia serve per mandare le fotografie su WhatsApp, non serve per gestire la transizione digitale. Non è sufficiente per gestire la logistica o la telemedicina, come a scaricare contenuti video pesanti. Insomma la transizione digitale è indispensabile allo sviluppo del Paese. Anche per quanto riguarda la cultura il problema è costruire un ecosistema di carattere industriale: in tutti i Paesi normali quella è considerata l'industria della produzione culturale, mentre da noi è considerato l'intrattenimento. Tanto è vero che non ci sono tutele per quei lavoratori, non esiste un’idea pubblica di produzione culturale. In Italia producono Netflix, Amazon Prime, Sky mentre Rai e Mediaset sono sempre più drammaticamente indietro e non esiste un ecosistema che, a partire dai contributi pubblici, permetta una sperimentazione. L’Italia è l'unico Paese dove il periodo di non lavoro di un artista è considerato come stare in panciolle: lo studio, l'approfondimento non è considerato lavoro.
I settori di Slc patiscono profondamente la mancanza di politiche industriali o la presenza di politiche industriali sbagliate. Penso ad esempio allo spezzettamento di industrie fondamentali allo sviluppo del Paese e che ci hanno indebolito a livello internazionale, dalla privatizzazione degli anni ‘90 di Tim che è arrivata oggi allo smembramento dell'azienda, fino a Poste che il governo vuole ulteriormente svendere.
Noi siamo, da questo punto di vista, una categoria molto conflittuale: se pensiamo alle vertenze citate sono quelle che ci vedono impegnati a mettere in campo delle politiche a difesa di quei lavoratori, del loro futuro, dello sviluppo delle loro professioni, ma anche dell'interesse generale del Paese. La questione della privatizzazione di Poste non riguarda solo il futuro lavorativo delle lavoratrici e dei lavoratori; c’è in ballo una questione di democrazia economica e di coesione sociale. Se si tolgono gli uffici postali e i bancomat postali si condannano migliaia e migliaia di persone a fare chilometri per accedere al denaro, ed è bene ricordare che siamo un Paese assai arretrato nell’utilizzo della moneta elettronica. Insomma, la nostra categoria riesce davvero a fare sintesi tra gli interessi particolari dei lavoratori e delle lavoratrici delle singole aziende e gli interessi generali del Paese.
Slc rappresenta anche,i lavoratori e le lavoratrici che – assieme ai giornalisti – garantiscono, o almeno ci provano, la libera informazione: tecnici, poligrafici, cineoperatori, montatori eccetera. Ma questo momento storico vede una sorta di cataclisma scagliato sugli operatori della comunicazione, la crisi di Dire o dell’Agi, del Messaggero o dell'Espresso. Insomma, la limitazione della libertà di informazione si scarica prima di tutto sui lavoratori e lavoratrici che fanno comunicazione.
La chiave di lettura è sempre la stessa: abbiamo una serie di grandi vertenze nelle quali l’interesse di quei lavoratori coincide con l'interesse generale. Nel mondo dell'informazione c'è una polarizzazione sempre più drammatica, una concentrazione di potere; diversa da quella del tempo di Piazzetta Cuccia che pure era un potere assai forte, che ha garantito comunque un'informazione di grande qualità anche plurale. Mai avevamo assistito a una concentrazione pericolosissima come quella già nelle mani del parlamentare della Lega, Angelucci, e che potrebbe aumentare. Al di là della concentrazione, non c'è comunque una barra dritta tenuta da un sistema di controllo pubblico su informazione certificata, aperta, e di contro abbiamo i social e internet guidati e controllati da algoritmi che certo non sono garanzia di pluralismo. Con la Confederazione abbiamo collocato la nostra iniziativa per il servizio pubblico radiotelevisivo nel solco de La Via maestra perché l’informazione, la produzione culturale, la cultura sono valori e temi costituzionali. E, da questo punto di vista, siamo confortati dall’Unione europea che è riuscita a varare una Regolamento sulla libertà di informazione di qualità. È scritto tutto lì anche come deve essere la governance della Rai. Peraltro già alcuni interventi della Corte Costituzionale sono stati importanti, quando a più riprese ha detto che il canone si deve pagare perché garantisce il diritto costituzionale all'informazione. Ora occorre attuare il Media Freedom Act per scongiurare l’occupazione dell’azienda di servizio pubblico da parte dei partiti e rilanciarla.
E allora quali sono le prime vertenze e le prime battaglie del nuovo segretario generale?
Dobbiamo continuare, come abbiamo fatto in questi anni, a dire che la soluzione dei problemi dei lavoratori e delle lavoratrici di Tim, della Rai, della cultura, del mondo dell'informazione passa necessariamente attraverso un generale innalzamento delle condizioni culturali, informative, democratiche del Paese, perché garantiscono un maggiore rapporto con la modernità. In fondo quando si svalutano i salari, quindi il lavoro, si sta tenendo lontana la modernità. In Italia abbiamo un problema salariale perché banalmente abbiamo scelto la via bassa della competizione. Noi dobbiamo continuare a fare gli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici che ci onoriamo di rappresentare, puntando sul lavoro dignitoso e di qualità, continuando sulla strada del legare strettamente i destini delle lavoratrici e dei lavoratori con gli interessi del Paese, perché la nostra categoria cura settori che hanno strettamente a che fare col futuro del Paese. Dobbiamo continuare su questa strada con curiosità, sapendo che il mondo sta cambiando, ponendoci il tema che non rappresentiamo soltanto il lavoro subordinato e che qualunque sia la forma contrattuale formale o informale, ogni lavoratore e lavoratrice deve essere titolare di diritti. È complicato ma possiamo e dobbiamo riuscirci.