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Il 12 aprile 2018 la Corte Costituzionale chiamata ad esprimersi dal Consiglio di Stato, a fronte di un ricorso giurisdizionale proposto da Assodipro e sostenuto da Cgil, Fp Cgil, Silp Cgil, Ficiesse e il Giornale dei militari, ha riconosciuto la possibilità per i militari di avere autonome e libere organizzazioni sindacali. Il riconoscimento stabilisce un diritto di associazione a carattere strettamente professionale e senza possibilità, al momento, di aderire ad altri sindacati confederali.
Si tratta di un passaggio epocale, perché dopo settant’anni la Consulta ha finalmente cancellato l’anacronistico divieto di sindacalizzazione dei militari. Questo significa che abbiamo vissuto in una grave condizione di incostituzionalità di fatto. Eppure l’articolo 52 della Carta del 1947 era molto chiaro: "L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica".
La nostra azione e iniziativa sono state decisive e hanno determinato gli atti e le condizioni per l’affermazione di un processo di democratizzazione delle forze armate, di cui il nostro Paese aveva uno straordinario bisogno, e che adesso consente di recuperare ritardi anacronistici e inspiegabili, insomma che rappresenta un segno di civiltà fino ad ora ingiustamente mortificato. Arrivati a questo punto, è importante ricostruire quali sono stati i presupposti dell'approdo e quali saranno le possibili prospettive, non certo facili.
“I militari non possono esercitare il diritto di sciopero, costituire associazioni professionali a carattere sindacale, aderire ad altre associazioni sindacali”: questo è il punto di partenza di tutta la vicenda, cristallizzato prima nel testo della legge n 382, (Norme di principio sulla disciplina militare), poi nel decreto legislativo n. 66 (Codice dell’ordinamento militare).
Mentre veniva sancita l’impossibilità di organizzarsi in sindacato nelle forze armate, veniva garantita la possibilità di costituire associazioni tra militari di carattere non sindacale, previo assenso ministeriale, e previsto un sistema istituzionale di organismi di rappresentanza militare (Cobar, Coir, Cocer), destinato a costituire l’adattamento al contesto militare del comune sindacato. Una struttura interna alla gerarchia, che nell’intento del legislatore, avrebbe dovuto farsi portavoce delle istanze della “base”, nei fatti però, con un ruolo depotenziato dal fatto che non fosse una rappresentanza eletta democraticamente proprio dalla base, ma nominata dalle gerarchie militari.
Al divieto storico di costituire autonomamente organizzazioni di carattere sindacale si è accompagnato, come compensazione, un sistema strutturato che, solo con molta fatica e tanti limiti, poteva assicurare la possibilità per i militari di formulare istanze in relazione alle proprie condizioni lavorative. Condizioni che meritano di essere prese in carico e migliorate: dal tema salariale a quello molto sentito della sicurezza, da sempre sacrificata in nome dei doveri di Stato.
In questo contesto, una sempre più consistente parte del mondo militare, alcune realtà associative come Assodipro e Ficiesse, da sempre impegnati in prima fila sul tema, e la Cgil (in particolare nel panorama sindacale), hanno guardato con diffidenza a una rappresentanza istituzionalizzata e ritagliata nella cornice gerarchica, ritenendola incapace di garantire la necessaria autonomia e la opportuna libertà. L’idea di applicare il paradigma sindacale vero e proprio e in senso stretto ai corpi militari si è dunque riproposta nel nostro Paese in modo ciclico.
La Corte Costituzionale si era già espressa sul punto nel 1999. In quella occasione tuttavia aveva ritenuto la perfetta conformità alla Costituzione dell’art. 8 della legge n. 382. Il legislatore ordinario – argomentava la Consulta – ben può escludere i militari dall’esercizio di determinati diritti, ancorché costituzionalmente sanciti (come appunto la libertà sindacale), ove ciò pregiudichi la disciplina, vero e proprio fondamento dell’ordinamento militare, in quanto questa costituisce il presupposto stesso dell’efficienza delle Forze Armate e quindi, in ultima ratio, del perseguimento di quei fini che la Costituzione solennemente tutela.
Il dibattito sulla introduzione di veri e propri sindacati militari nel nostro Paese ha così subito una battuta d’arresto, ma si è riproposto sistematicamente, anche grazie alla determinazione di quanti non hanno mai voluto rinunciare all’idea di vedersi garantito un diritto costituzionale. Nel frattempo, ha acquisito sempre maggiore rilevanza sul punto la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu), alla quale è stata riconosciuta definitiva rilevanza costituzionale. Alla Cedu dunque viene attribuito un duplice ruolo: da una parte essa diviene parametro interposto per vagliare la legittimità costituzionale delle norme interne; dall’altra essa rappresenta un criterio per l’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni interne.
La giurisprudenza della Corte di Strasburgo (che vigila sull’osservanza della Cedu ed al quale l’art. 32 riserva il potere di interpretare la Convenzione) ha così acquisito primaria rilevanza negli ordinamenti interni degli Stati europei aderenti. L’Unione Europea, dunque, diventa contesto di riferimento essenziale per provocare una riforma generalizzata del sistema militare nel senso dell'affermazione dei diritti sindacali nelle forze armate.
In questo contesto che si è incastrato il ricorso alla Corte Costituzionale presentato dall’associazione Assodipro e sostenuto dalla nostra organizzazione. Era giunto il momento di imprimere una sterzata al conservatorismo con il quale, a partire dagli Stati maggiori, con un evidente avvallo della politica, si era fino ad oggi impedito un diritto fondamentale. Era arrivato il momento di farlo in coerenza con un quadro internazionale che spingeva verso il cambiamento.
Una scelta difficile e rischiosa ma necessaria, che ha portato la Corte - nel contesto rinnovato - a giungere a conclusioni opposte rispetto a venti anni prima. In attesa dell’intervento del legislatore, la Consulta ritiene applicabile il primo comma dell’art. 1475, che subordina all’assenso ministeriale la costituzione di associazioni tra militari, genericamente considerati. Resta in piedi, nel limbo dell’approvazione delle nuove norme, il vecchio sistema della rappresentanza istituzionalizzata che diventa inconciliabile proprio con la natura democratica della individuazione della rappresentanza.
Ma questo straordinario risultato rischia di essere oggi seriamente compromesso. Le forze più retrive di questo Paese, infatti, si stanno mobilitando per sterilizzare la storica sentenza con l’introduzione di una normativa che rischia di limitare oltremodo i poteri dei nuovi sindacati, ponendoli più che altro sotto il controllo dei vertici militari. Con il voto in commissione Difesa della Camera degli emendamenti alla legge che regola la libertà sindacale delle Forze armate, si sta tentando di impedire il libero esercizio dell’attività sindacale nelle forze armate e di chiudere gli spazi di democrazia aperti dalla sentenza. Per contrastare questa pericolosa battuta d’arresto viene in soccorso un altro importante pronunciamento, quello della Corte europea dei diritti sociali, che si è pronunciata a gennaio di quest'anno.
Con la decisione sul merito adottata il 22 gennaio e resa pubblica il 7 giugno 2019, il Comitato europeo dei diritti sociali (Ceds) ha accolto il ricorso con cui la Cgil denunciava la violazione da parte dell’Italia dell’art. 5 (diritti sindacali) e dell’art. 6 (diritto alla negoziazione collettiva) della Carta sociale europea riveduta, con riferimento all’impossibilità dei dipendenti della Guardia di finanza di costituire sindacati, svolgere attività sindacale, esercitare il diritto di negoziazione collettiva, nonché di scioperare.
In definitiva, contro il tentativo della politica di neutralizzare la sentenza è tempo di assumere un'iniziativa, senza escludere alcuno strumento possibile, fino a lanciare una proposta di legge di iniziativa popolare magari di tutto il sindacato confederale. Un'iniziativa che avrebbe il pregio di lanciare nel Paese e fra i militari una straordinaria campagna di adesione e condivisione, verso un obiettivo democratico e necessario che aiuterà l'Italia ad essere più efficiente e trasparente. Una strada impegnativa, che vuole coinvolgere la società civile nel dibattito, per costruire la conquista delle libertà sindacali dei militari attraverso una rivendicazione di tutti. Una grande sfida che la Cgil intende affrontare, come sempre nella sua storia.
Giuseppe Massafra è segretario confederale della Cgil nazionale