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Temporeggiare. È il verbo che meglio descrive la situazione alla Sematic di Osio (in provincia di Bergamo), una vertenza che si trascina dal 3 settembre 2020. Da quando, cioè il gruppo Wittur, di cui fa parte l’azienda dal 2015, comunicò ufficialmente ai sindacati l’intenzione di delocalizzare la produzione di porte e cabine per ascensori in Ungheria (ma tale ipotesi era già stata ventilata nella primavera del 2019).
Dall’audizione per il tavolo di crisi al ministero dello Sviluppo economico, avvenuta per l’appunto il 30 settembre scorso, all’audizione della tarda mattinata di oggi, sempre organizzata dal Mise in videoconferenza, con la partecipazione del ministero del Lavoro, dei vertici aziendali, della Regione Lombardia, del sindaco di Osio, dei sindacati e delle Rsu, non è arrivata alcuna risposta ufficiale dalla direzione del gruppo, in merito alle prospettive dello stabilimento italiano. Un nulla di fatto, dunque.
“Oggi abbiamo ascoltato, più o meno con le stesse parole, la stessa posizione di quattro mesi fa – sostiene Claudio Ravasio, della segreteria Fiom Cgil di Bergamo -: l’azienda ha confermato la situazione di crisi; anzi, ha riferito che le difficoltà attuali sarebbero aggravate dalla seconda ondata pandemica”.
E di fronte a questa continua incertezza, da parte di lavoratori e sindacati, la pazienza è finita. “Sono passati quattro mesi – afferma il sindacalista -, senza che l’azienda ci abbia mai dato una risposta chiara e definitiva su quello che intende fare. Con la scusa della pandemia, continua a rinviare una decisione che in realtà ha già preso”.
Nel senso che la delocalizzazione è già stata effettuata, con lo spostamento delle lavorazioni per il 70% effettivamente eseguito, mentre a Osio l’impianto si sta svuotando e i dipendenti rimasti (130 operai e 60 impiegati) lavorano a scartamento ridotto, facendo dalle due alle tre settimane di cassa integrazione al mese. E questo ha forti ripercussioni sull’economia delle loro famiglie. Per quanto riguarda il personale amministrativo, in particolare, il grosso degli addetti è già stato trasferito al centro di ricerca e sviluppo del gruppo a Seriate (sempre nella ‘Bergamasca’).
Quindi, le lavorazioni restano in Ungheria, almeno per il momento. Il rappresentante del Mise e quello della Regione Lombardia hanno dichiarato di avere avanzato diverse offerte di strumenti che il gruppo potrebbe utilizzare, a seconda di quale decisione definitiva prenderà, cioè se riportare o meno la produzione a Osio.
“Adesso i vertici aziendali hanno rimandato la decisione definitiva di altre quattro settimane, a metà febbraio – prosegue il dirigente sindacale -, lasciando intravvedere un ipotetico cambiamento di rotta, una volta terminata la nuova emergenza sanitaria. L’azienda continua a definire temporaneo lo spostamento in Ungheria, però non dà risposte. Ma questo ennesimo rinvio è incomprensibile, anche perché, secondo noi, hanno già deciso”.
“Noi vogliamo risposte chiare – rimarcano i sindacati - perché ai lavoratori pesa il fatto di stare in una posizione di limbo inaccettabile, di non sapere quale sarà il loro destino, ma incide anche la penalizzazione economica dovuta alla Cigo per ‘emergenza Covid’, che durerà sino a fine marzo, e che l’azienda utilizza in modo improprio, come conseguenza della scelta di spostare gran parte della produzione presso lo stabilimento ungherese”.
Per questo, per la salvaguardia di tutti posti di lavoro, Fiom, Fim e Uilm provinciali hanno deciso un nuovo pacchetto di ore di sciopero, con nuove iniziative di protesta da definire e intraprendere nei prossimi giorni. L’agitazione arriva dopo le sedici ore effettuate a dicembre, con le prime due mobilitazioni con presidio davanti ai cancelli dello stabilimento, avvenute l’11 e il 16 dicembre. Invece, lo sciopero proclamato per l’8 gennaio, era stato poi sospeso, in attesa della convocazione giunta oggi, da tempo attesa e ripetutamente sollecitata dai sindacati.
“Per noi – conclude l’esponente Fiom -, l’obiettivo resta la piena occupazione. Ma la scelta deve essere esplicitata, perché in base ad essa si attiveranno diversi percorsi di sostegno, offerti da ministero e Regione. Resta, dunque, al momento, tutta l’insoddisfazione per il fatto di ritrovarci nell’incertezza più assoluta”. L’appuntamento è rimandato a metà febbraio, verosimilmente con la riconvocazione di un nuovo tavolo di crisi.