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La protesta è ripresa oggi, 15 gennaio, e continuerà lunedì 18 gennaio, con presidio fuori dall’azienda, a partire dalle 7,15 del mattino. Sono due, infatti, i giorni di sciopero decisi dai sindacati metalmeccanici di Cgil, Cisl e Uil di Bergamo, per quanto riguarda la vertenza Sematic di Osio. Preludio a una nuova fase di lotta, dopo il pacchetto di sedici ore di agitazioni effettuato il mese scorso, con due giornate di mobilitazioni organizzate l’11 e il 16 dicembre, mentre lo sciopero proclamato per l’8 gennaio, era stato poi sospeso in attesa della convocazione del governo.
Questo, dopo l’infruttuoso incontro in videoconferenza al ministero dello Sviluppo economico, avvenuto mercoledì 14 gennaio, alla presenza di vertici aziendali, organizzazioni sindacali, Rsu, e la partecipazione del ministero del Lavoro, della Regione Lombardia e del sindaco di Osio.
Com’è noto, il 3 settembre scorso il gruppo Wittur, che nel 2015 ha inglobato la Sematic, aveva annunciato il trasferimento di circa il 70% della produzione (porte e cabine per ascensori) in Ungheria, mettendo a rischio i 190 dipendenti dello stabilimento italiano. Lo spostamento delle lavorazioni è stato poi eseguito nelle settimane successive. L’ipotesi dell’avvenuta delocalizzazione era stata già ventilata nella primavera del 2019.
Per i lavoratori di Osio si è aperto, quindi, un periodo di cassa integrazione per l’emergenza Covid, che durerà sino a fine marzo. La convocazione del tavolo negoziale del 14 era da tempo sollecitata da parte sindacale, dopo che una precedente audizione sempre al Mise, tenutasi il 30 settembre, non aveva portato alcuna novità sul destino del personale di Osio né informazioni sulle intenzioni della direzione del gruppo.
“L’azienda è rimasta sulle stesse posizioni di quattro mesi fa – afferma Claudio Ravasio, della segreteria Fiom di Bergamo -. Abbiamo ascoltato dal management tedesco più o meno con le stesse parole, che ci hanno confermato la situazione di crisi; anzi, ha riferito che le difficoltà attuali sarebbero aggravate dalla seconda ondata pandemica in corso, ribadendo anche la permanenza in Ungheria delle lavorazioni trasferite a settembre”.
“La Wittur, però – rileva il sindacalista -, continua a non dare risposte in merito al futuro dello stabilimento di Osio, anche di fronte ai rappresentanti del Mise e della Regione Lombardia, che hanno avanzato diverse offerte di possibili strumenti da utilizzare, a seconda di quale decisione definitiva prenderà, cioè se riportare o meno le lavorazioni da noi in Italia”.
“Con le nuove due giornate di sciopero – prosegue il dirigente sindacale -, torniamo a chiedere, dopo quattro mesi, di mettere fine a questo limbo inaccettabile e di garantire la piena occupazione dell’impianto. Di fronte a questa continua incertezza, da parte dei lavoratori, la pazienza è finita. Sono passati quattro mesi, senza che l’azienda ci abbia mai dato una risposta chiara e definitiva su quello che intende fare. Con la scusa della pandemia, continua a rinviare una decisione che in realtà ha già preso”.
Nel senso che la delocalizzazione è già stata effettuata, con lo spostamento di gran parte delle lavorazioni effettivamente eseguito, mentre a Osio l’impianto si sta svuotando e i dipendenti rimasti (130 operai e 60 impiegati) lavorano a scartamento ridotto, facendo dalle due alle tre settimane di cassa integrazione al mese. E questo ha forti ripercussioni sull’economia delle loro famiglie. Per quanto riguarda il personale amministrativo, in particolare, il grosso degli addetti è già stato trasferito al centro di ricerca e sviluppo del gruppo a Seriate (sempre nella ‘Bergamasca’).
“Adesso i vertici aziendali hanno rimandato la decisione definitiva di altre quattro settimane – prosegue l’esponente Fiom -, lasciando intravvedere un ipotetico cambiamento di rotta, una volta terminata la nuova emergenza sanitaria. L’azienda continua a definire temporaneo lo spostamento in Ungheria, però non dà risposte. Ma questo ennesimo rinvio è incomprensibile, anche perché, secondo noi, hanno già deciso”.
“Noi vogliamo risposte chiare – rimarcano i sindacati -, perché sui lavoratori pesa il fatto di stare in una posizione assurda, senza sapere quale sarà il loro destino, ma incide anche la penalizzazione economica dovuta alla Cigo per ‘emergenza Covid’, che durerà sino a fine marzo, e che l’azienda utilizza in modo improprio, come conseguenza della scelta di spostare gran parte della produzione presso lo stabilimento ungherese”.
Concludono Fiom, Fim e Uilmi: “Il nostro obiettivo resta la piena occupazione di tutti i lavoratori e le lavoratrici di Osio”. L’appuntamento, dunque, è rimandato a metà febbraio, verosimilmente con la riconvocazione di un nuovo tavolo istituzionale di crisi.