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Sono oltre 200mila tra infermiere e infermieri, fisioterapisti e operatori sanitari con il contratto Aiop Aris lavorano con le stesse funzioni e gli stessi turni di quelli che operano negli ospedali pubblici, eppure hanno un contratto diverso e stipendi assai più bassi. Non solo, quelli con il contratto Rsa il contratto in realtà non ce l’hanno o meglio dodici anni fa ne sono stati siglati due che non solo hanno livelli salariali più bassi, ma per ciò che riguarda la parte normativa assai penalizzanti.
Una storia lunga 12 anni
Era il 2012 quando Aiop e Aris siglarono i due accordi, da allora mai rinnovati, con un lavoro sindacale paziente, tra ottobre dello scorso anno e gennaio del 2024 Cgil, Cisl e Uil si sono sedute ai tavoli con le due associazione per arrivare alla sigla di un contratto unico. A raccontarlo è la segretaria della Fp Barbara Francavilla: “Abbiamo deciso di andare verso un contratto unico per superare quella divisione, per ridurre i contatti e per diventare più forti e dare più diritti e più soldi alla lavatrice. A ottobre abbiamo fatto un primo passo equiparando i tabellari salariale fra gli accordi delle due associazioni. Il passo successivo doveva essere quello di sedersi ai tavoli per scrivere il contratto”.
Strada interrotta
La delusione di sindacati e lavoratori e lavoratrici si è trasformata in rabbia e in voglia di battersi per i propri diritti perché le condizioni richieste da Aiop e Aris per sedersi a discutere erano e sono inaccettabili. “Quando abbiamo chiesto l’apertura dei due tavoli – ricorda Francavilla – ci è stato risposto che loro per rinnovare il contratto e scriverne uno unico, con anche la parte normativa adeguata, c’era bisogno che i soldi li mettesse il governo”.
La storia non cambia
Il punto è sempre lo stesso, cambiano le associazioni datoriali della sanità privata – la scorsa settimana hanno scioperato le dipendenti e i dipendenti con Ccnl Uneba – ma per siglare i rinnovi pretendono che Stato e Regioni aumentino le tariffe delle convenzioni e i rimborsi che ricevono. Insomma tutto scaricato sul pubblico. Tranne i profitti che sono esclusivo appannaggio delle imprese che non vogliono nemmeno prendersi il rischio – si chiama appunto rischio di impresa – di rinnovare il contratto in attesa che vengano riviste le tariffe delle convenzioni, eventualmente.
I fratelli maggiori
Emanuele Carrattelli è infermiere, lavora in sala operatoria e nel reparto di chirurgia di un ospedale romano, il Vannini delle Suore di San Camillo: “La mia attività sui pazienti che vengono operati è identica a quella dei colleghi del Policlinico Umberto I o di qualunque ospedale pubblico, però guadagno mediamente intorno ai 170 euro in meno al mese”. La situazione di queste lavoratrici e lavoratori è comunque migliore di quella dei colleghi con contratto Rsa, questi ultimi di euro al mese ne guadagnano 350 in meno. Nel 2020, infatti, è stato rinnovato il contratto sanità privata acuti per il triennio 2016-2018, ma li ci si è fermati.
Le richieste inascoltate
“Abbiamo chiesto da mesi l’apertura dei tavoli: quello per il rinnovo del contratto sanità privata Aris Aiop, fermo al triennio 16/18, e quello per il nuovo contratto unico delle Rsa dove i lavoratori attendono lo sblocco della contrattazione da oltre dodici anni. Le due associazioni li hanno però negato entrambi, vincolandoli al finanziamento da parte dello Stato. Una risposta per noi inaccettabile”.
Che fare?
Anche in questo caso la richiesta delle organizzazioni sindacali è netta: se le strutture sanitarie non accettano il rinnovo dei contratti non posso più operare come servizio pubblico e quindi non devono più ricevere i soldi destinati al Ssn dallo Stato. “Chiediamo a gran voce che venga revocato l’accreditamento alle strutture che non rinnovano i contratti o che applicano contratti che non rispettano la dignità del lavoro garantendo salari dignitosi. Queste strutture, destinatarie di appositi finanziamenti pubblici da parte delle singole regioni, stanno continuando a svilire e sottopagare oltre 200mila lavoratrici e lavoratori che ogni giorno si prendono cura di chi ha bisogno di assistenza”.
Non è solo questioni di soldi
Lavoro dignitoso è quello che, oltre a un salario che consenta una vita dignitosa per sé e la propria famiglia come recita la Costituzione, garantisca diritti. A cominciare da quello alla malattia. Se si ammala un infermiere che lavora nel pubblico o in strutture private ma con contratto, le assenze gli vengono retribuite. Se si ammala un operatore con contratto Rsa, l’assenza viene pagata in rapporto a quante assenze fa, la prima assenza è pagata al 100 per cento, poi va a scalare finché a un certo punto non viene più pagata.
Presidi in tutto il Paese
Lunedì 23 settembre non solo sciopero, ma presidi in tutta Italia, Ancona, Bologna, Firenze, Milano, Genova, Palermo, Abano Terme, Napoli, Trieste, Campobasso, Bari, Pescara, Torino, Roma, Trento, Cagliari e Catanzaro sono solo alcune delle città coinvolte. A partire dalle 10 “saremo a Roma, presso il Ministero della Salute, a Napoli, sotto la Regione Campania, e a Milano, davanti la Regione Lombardia, per sensibilizzare il governo a trovare soluzioni che garantiscano ai dipendenti, a parità di lavoro, stessi salari e diritti di lavoratrici, lavoratori e professionisti della sanità pubblica, insieme ai quali concorrono a garantire ai cittadini di poter accedere al servizio pubblico previsto dalla Carta Costituzionale. C’è bisogno di cambiare il sistema garantendo che il valore del lavoro ritorni ad essere al centro della discussione”.
Lavoratrici e lavoratori non si fermeranno, la loro professionalità va riconosciuta, vogliono il contratto collettivo di lavoro rinnovato e vogliono il riconoscimento di diritti e un salario dignitoso.