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Salario minimo: lo scorso 4 ottobre la Commissione informazione del Cnel ne ha sconsigliato l'introduzione in Italia, presentando la prima parte di un documento di analisi che nel suo complesso dovrà essere varato dall’assemblea generale la prossima settimana. In commissione, la Cgil ha votato contro, la Uil si è astenuta. Ma partiamo dall'inizio.
Due passi indietro
Lo scorso 11 agosto il governo, sospendendo la discussione parlamentare su una proposta di legge presentata dai partiti di opposizione sull’introduzione del salario minimo legale, ha chiesto al Cnel di elaborare un documento sulla necessità di istituire per legge una soglia sotto la quale la paga oraria non può scendere.
Come previsto per legge, il Consiglio del Cnel è stato rinnovato, ma il governo ha cambiato la composizione dei soggetti rappresentati, introducendo sia tra i sindacati che tra le parti datoriali soggetti non effettivamente rappresentativi e modificando così la rappresentanza di entrambi. Contro questa decisione, peraltro, è pendente un ricorso al Tar.
Cosa dice il documento
Quella approvata due giorni fa è solo la prima parte e deve – o meglio dovrebbe – occuparsi di analizzare i dati del mercato del lavoro. La seconda parte dovrà occuparsi delle proposte. Ma nel testo della Commissione si legge: “Nel dibattito pubblico la povertà lavorativa è spesso collegata a salari insufficienti, mentre questa è il risultato di un processo che va ben oltre il salario e che riguarda i tempi di lavoro (ovvero quante ore si lavora abitualmente a settimana e quante settimane si è occupati nel corso di un anno), la composizione familiare (e in particolare quante persone percepiscono un reddito all’interno del nucleo) e l’azione redistributiva dello Stato”. E quindi più del salario minimo legale servirebbe “un piano nazionale a sostegno della contrattazione collettiva”
Inoltre, la paga media oraria viene stabilita in 7,1 euro e i contratti "pirata", sempre secondo il documento, interesserebbero solo lo 0,4% di lavoratori e lavoratrici dei settori privati. È bene ricordare che i dati su cui sono stati fatti questi calcoli risalgono al 2019 e non considerano alcuni settori che però coinvolgono tante persone, come agricoltura, colf e assistenti familiari.
Perché la Cgil ha votato no
Fin da subito, da quando Meloni ha incontrato i partiti dell’opposizione firmatari del disegno di legge sul salario minimo legale, la Confederazione di corso d'Italia ha sottolineato che l’errore sta nel manico: non è il Cnel il luogo deputato alle mediazioni tra governo e parti sociali.
Vice presidente della Commissione informazione del Cnel è Tania Scacchetti, attualmente in segreteria nazionale Spi Cgil, che ha partecipato alla discussione che ha portato al documento e afferma: “C’è una questione politica che abbiamo posto fin dall’inizio. il tema del salario minimo legale è delicato e sensibile, abbiamo chiesto un confronto con il governo che non c’è mai stato. Non può essere il Cnel il luogo di mediazione delle parti sociali alla luce anche della discussione parlamentare che deve esserci”.
Non solo. Aggiunge la dirigente sindacale: “La Cgil ha una proposta, una legge sulla rappresentanza per dare valore erga omnes ai contratti sottoscritti dai sindacati rappresentativi e in questo quadro anche l’identificazione di una soglia di minimo orario sotto la quale non andare. Tale proposta non può essere minimizzata o annacquata in questa sede che non è di confronto politico”.
L’utilizzo dei dati
Come si sa, l’utilizzo dei numeri e delle analisi non è mai neutro. Certo, la complessità del mercato del lavoro, la sua frammentarietà e diversificazione è tale che studiarlo non è cosa semplice, però si ha la sensazione che, per come i dati vengono analizzati in questa prima parte del documento del Cnel, potrebbero configurare una condizione salariale del mercato del lavoro italiano che non corrisponde effettivamente alla realtà.
Massimo Brancato, consigliere del Cnel indicato dalla Cgil, intervenendo nella discussione in assemblea ha detto: “Le conclusioni analitiche cui giunge la Commissione configurano un quadro che noi non condividiamo e prefigurano soluzioni che anch’esse non condividiamo”.
“Il testo di analisi - aggiunge e conclude Scacchetti -, pure frutto di valutazione alle quali abbiamo contribuito, pare a nostro giudizio eccessivamente orientato a escludere alcuni interventi rispetto ad altri”.