Roma stremata. Col fiato corto, non solo per l’asfalto bollente e i 36 gradi che bruciano il cielo. Appesantita da cinque anni in cui la sindaca uscente, Virginia Raggi, “è riuscita, con la sua inerzia, a peggiorare una situazione già critica e complicata”. A dirlo è Michele Azzola, segretario generale della Cgil capitolina. Il sindacato da sempre si spende nella denuncia e nella proposta, sperando che la politica raccolga la sfida. Ascolta i lavoratori, come ha fatto anche in questo ultimo scorcio prima di agosto, riunendo le delegate e i delegati più volte per costruire le sue istanze.

Alla vigilia delle elezioni per il nuovo sindaco, il prossimo autunno, le organizzazioni di rappresentanza chiedono cose che dovrebbero essere normali per chi amministra la Città eterna. Una prospettiva che, programmando i prossimi dieci anni, restituisca ai sette colli il ruolo di capitale del mondo, per uscire dal pantano in cui la crisi, l’emergenza sanitaria, ma soprattutto il mal governo hanno affogato Roma. Uno sguardo lungo, che esca dalla logica della promessa, dei primi cento giorni, che spesso diventano premessa di niente. Che la politica torni a programmare, a risolvere, a pensare in grande e, di concerto con le parti sociali, con i cittadini, con i lavoratori e con le associazioni, torni a esercitare un ruolo. “Come successe negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, quando questa città fu in grado di accogliere e integrare i migranti e i tanti che vivevano nelle baracche”. Una politica con la P maiuscola, che prenda per mano la città e la accompagni, finalmente, nella modernità.

Iniziamo dal lavoro, dal disastro delle partecipate, da quei pilastri sui quali poggia la qualità della vita di qualsiasi metropoli: la raccolta dei rifiuti e il trasporto pubblico locale. Qui le aziende hanno nomi che evocano disastri, disservizi e vertenze infinite, riuscendo a scontentare tutti, lavoratori e cittadini. Ama, Atac, Roma Metropolitane. Il collasso è alle spalle da anni, il corpaccione malato di queste società è attaccato a un defibrillatore che ha sempre meno corrente per funzionare. “Queste società sono all’agonia e i cittadini ne pagano le conseguenze – è l’analisi malinconica del segretario della Cgil –. I servizi sono insoddisfacenti e non funzionali. Ci vorrebbero scelte strategiche. Sul trasporto pubblico locale occorrerebbe mettere insieme tutti i soggetti che se ne occupano tra città e regione, per imboccare la svolta green di cui tanto si parla e per cui niente si fa e sgombrare le strade dal traffico privato. Per i rifiuti servirebbero sinergie tra le varie aziende, al fine di costituire una società che abbia dimensioni sufficienti a garantire investimenti con i quali realizzare gli impianti e chiudere finalmente il ciclo dei rifiuti. Con i quali i rifiuti siano valorizzati, come accade nelle città e nei paesi più all’avanguardia. E poi si dovrebbe creare decoro per attrarre capitali. Una strada potrebbe essere il dialogo stretto con le università, stimolando le grandi imprese romane a guardare all’apprendistato di terza fascia, per dare occasioni di lavoro ai laureati che oggi sono drammaticamente sotto-occupati per la scarsa mobilità del mercato”.

Eccolo il pensiero lungo di cui avrebbe bisogno Roma. Quella capacità tipica del sindacato di unire i puntini perché emerga un disegno più ampio dei singoli interessi di bottega o del tirare a campare, dell’esercitare il potere per il potere, da troppo tempo sport preferito della classe dirigente di questa città.

Il turismo che non c'è

Se si parla di lavoro viene subito in mente il turismo, una delle grandi risorse della Capitale, oggi in ginocchio per la pandemia. A raccontarcelo è un delegato della Filcams Cgil, Andrea Furlan, lavoratore all’Hotel Le Méridien Visconti, pieno centro città.

“Qui la situazione non è differente dalle altre città d’arte, la maggioranza delle aziende alberghiere è in sofferenza per la pandemia, il calo delle presenze è vertiginoso, nonostante una piccola ripresa. Una fetta importante degli alberghi continua a essere chiusa e ha rimandato a settembre la riapertura. Molte strutture lavorano a scarto ridotto, occupano non più del 20/30 per cento delle camere. Non tutti i lavoratori sono stati richiamati. Chi resta a casa ha la Fis Covid che durerà fino a ottobre, quando scadrà inevitabilmente. E la maggioranza dei lavoratori vive con angoscia l’avvicinarsi dell’autunno perché non sa se il governo rinnoverà la misura di sostegno o farà come è successo il 30 giugno scorso nell’industria, dando di fatto il via allo sblocco dei licenziamenti”.

“Se questo accadesse – ci spiega Andrea Furlan – il rischio è che quando l’emergenza sanitaria finirà e ci sarà un nuovo boom del turismo, migliaia di posti di lavoro potrebbero essere stati cancellati”.

“In più c’è da dire che gli hotel aperti al 20/30 per cento sono in grande difficoltà. La scelta di mettere a disposizione del settore una risorsa come la Fis Covid li ha aiutati molto, perché non devono affrontare i costi del personale. Ma denunciamo e registriamo anche ritardi gravosi nei pagamenti, che continuano anche adesso a perdurare: nella mia struttura e anche in altre c’è ancora chi non vede soldi da aprile ed è costretto a tirare avanti in qualche modo. Perché per chi è a zero ore la situazione è drammatica”.

Agenzia Sintesi

La vertenza Alitalia

Lavoro che non c’è, lavoro sempre più a rischio. Se dovessimo scegliere una vertenza che squarcia da quasi vent’anni il cielo della Capitale sceglieremmo Alitalia. Per la complessità, per le implicazioni “industriali” e sociali, per quei 12 mila dipendenti che rischiano da anni, a ogni stazione della loro Via Crucis, di diventare esuberi o carne da cassa integrazione. Per la parabola disegnata da questo vettore cui è stato impedito, per mille ragioni e responsabilità, passate e presenti, un nuovo decollo. Così simile, per molti versi, alla storia recente di Roma.

È qui che si annidano tanti mali che affliggono il lavoro, nella capitale e non solo. Ne abbiamo parlato con Alessia Sedda, delegata Filt Cgil, da vent’anni alla biglietteria, a Fiumicino.

“Il clima è di forte preoccupazione, da tantissimo tempo, perché la vertenza Alitalia è ciclica. Il problema è politico. È di gestione dell’azienda, ma dipende anche dalla prospettiva che si vuole dare al trasporto aereo nel nostro Paese. Siamo preoccupati, certo, a dirla tutta siamo anche stanchi. È stato un anno durissimo, il Covid ha complicato il nostro lavoro, tra le norme per la sicurezza, il rischio contagio, i protocolli, i tamponi. E poi ogni giorno c’è una novità che riguarda il nostro futuro. La nostra speranza è che il lavoratore torni al centro del discorso e del progetto. Dopo anni e anni di narrazione falsata, nel quale quest’azienda è passata dall’essere ambasciatrice di prestigio dell’Italia nel mondo, sempre ai primi posti per qualità e sicurezza, a carrozzone. E noi invece abbiamo sempre continuato a dare il massimo”.

Stanchezza, preoccupazione. Una condizione che pesa molto sulle spalle delle lavoratrici, una parte fondamentale della compagnia. Costrette dalla natura dell’impiego a turni e orari che le tengono spesso lontane dalla famiglia, che rendono loro impossibile o molto complicato gestire il rapporto con i figli e conciliare la professione con il lavoro di cura.

Simona Caleo

Una situazione che impatta sui dipendenti delle ditte dell’indotto in aeroporto, perché “se noi di Alitalia perdiamo diritti, i tanti colleghi degli appalti e dei subappalti stanno soffrendo ancor di più, sono in cassa in deroga, in molti non vedono soldi da mesi, anche se lavoravano gomito a gomito con noi”.

Multiservizi senza diritti

Parliamo con Massimiliano Aglitti, funzionario della Filcams Cgil che si occupa di appalti delle pulizie, quasi tutti su committenze pubbliche. Un altro settore che sanguina. Aglitti si occupa dei trasporti pubblici, soprattutto Atac, società partecipata del Comune di Roma che ha evitato il fallimento perché sotto concordato preventivo da alcuni anni.

“Ad oggi – ci spiega – le problematiche dell’Atac, come committente, si sono sempre riversate sulle aziende appaltatrici e di conseguenza sui lavoratori. Le società appaltatrici, a loro volta, hanno sempre approfittato dell’assenza di controllo da parte del committente, che dimentica spesso la propria responsabilità solidale nell’appalto. Il risultato di questa catena di “disattenzioni” è un servizio del tutto inefficiente, che si specchia nella sottrazione di diritti ai lavoratori. Già prima della pandemia il servizio di pulizia e sanificazione sui mezzi pubblici e nelle stazioni delle metropolitane era carente, mai svolto come i capitolati di appalto prevedono. La richiesta di attività di sanificazione poi, necessaria al contenimento del Covid, si è dimostrata solo un’altra occasione di profitto per le aziende, non avendo prodotto un aumento delle ore di lavoro per gli operai che hanno dovuto svolgere quel servizio nello stesso tempo di prima, dunque sottraendo ore alle attività di pulizia ordinaria. A ciò si aggiunge la scarsa attenzione dimostrata dalle aziende alla salute e sicurezza dei lavoratori da quando è scoppiata l’emergenza sanitaria. Niente dispositivi di protezione individuale, ragion per cui spesso i sindacati sono stati costretti ad aprire stati di agitazione oltre che a denunciare tali inadempienze gravi al committente”.

Eccolo il degrado del lavoro, declinato nella quotidianità del lavoratore abbandonato ai rischi senza alcuna attenzione. Senza alcuna formazione sulle attività di sanificazione e sull’utilizzo dei prodotti, “lasciando ai dipendenti l’arbitraria decisione di come effettuare tali attività che hanno un ruolo fondamentale nel contenimento del virus”. Come se non bastasse, “l’altra grande criticità sono i continui ritardi nel pagamento degli stipendi che le aziende imputano al mancato pagamento delle fatture da parte del committente Atac. Un ritardo che crea gravi disagi ai lavoratori e alle loro famiglie, che ogni mese non riescono a onorare pagamenti e scadenze. Problema che sembra si stia sempre più aggravando. Atac starebbe sospendendo ogni pagamento alle aziende in appalto, tant’è che qualcuna è stata costretta a diffidarla prima di agire giudizialmente. Così si continua a negare diritti a lavoratori cui andrebbe invece riconosciuto un ruolo fondamentale nel contenimento della pandemia”.

Capitale delle disuguaglianze

Eccoli i problemi del lavoro di una capitale che è lo specchio del Paese. “Stremata – ripete Michele Azzola –, viveva già problemi pesanti prima della pandemia per le scelte economiche sbagliate che hanno cancellato posti di lavoro di qualità e lo hanno sostituito con quelli che chiamavano lavoretti, nel turismo, nel commercio, nei servizi e in realtà sono lavori veri, ma mal retribuiti. Tutte attività pesantemente colpite, se è vero che sono già partiti licenziamenti individuali nel settore industriale, casi singoli che sommati fanno numeri importanti. Siamo preoccupati in vista di ottobre. Una città ferita, con una campagna elettorale che stenta a decollare. Noi, con Cisl e Uil, a settembre manderemo a ogni candidato un decalogo per la città e gli chiederemo di esprimersi prima del voto. Quello che serve a Roma è dignità, occupazione di qualità, una riorganizzazione delle partecipate. Questa città è diventata una cenerentola più che la capitale d’italia e una capitale del mondo”.

E per vincere le disuguaglianze? “C’è un’unica risposta – ci dice Michele Azzola –: lavoro e welfare. Lavoro pagato dignitosamente e nel quale siano riconosciuti i diritti delle persone e servizi essenziali ai cittadini, case pubbliche a prezzo calmierato e vivibili, trasporto pubblico che permetta a chiunque di poter accettare un impiego lontano senza dover comprare una macchina che spesso non potrebbe permettersi e scuole che garantiscano inclusione sociale. Per vincere le disuguaglianze non servono bonus o una tantum, che aiutano nell’immediato, ma opportunità di lavoro che rimettano in moto l’ascensore sociale”.

“Sono molto preoccupato – ci dice il segretario generale della Cgil di Roma e del Lazio – ma anche molto determinato a fare in modo che le cose possano cambiare. La politica ci ascolti, ascolti la nostra rete fatta di associazioni e sindacati, viva e attiva. Dobbiamo restituire un sogno e una speranza ai cittadini, convincere la politica a dare una risposta di sistema, una prospettiva alla città di Roma”.

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