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“Questo è un momento molto teso. I lavoratori hanno paura, abbiamo paura. Se lasci da parte il fatto che guidi l’autobus in una Roma deserta, dove non c’è traffico, dove se parti in ritardo arrivi in anticipo, per il resto oggi lavorare non è bello”. Le parole sono di Alessio Aschettino, autista Atac, l’azienda di trasporto della Capitale, che a causa dell’emergenza Coronavirus ha ridotto le corse, portandole al livello estivo, ma garantisce lo stesso il servizio. Che è essenziale. “C’è quello che prende l’autobus senza motivo, così per farsi un giro, e quelli che salgono lo stesso anche se il mezzo è strapieno di gente e non è possibile mantenere la distanza considerata di sicurezza – continua Aschettino -. L’altro giorno alcuni viaggiatori si rifiutavano di scendere anche se erano troppi. Ma come si fa? Hanno detto che il virus resta negli ambienti chiusi fino a tre ore, e questo fa paura”.
Per proteggere gli autisti degli autobus sono stati messi in atto due escamotage: posizionare una catenella che crea uno sbarramento e tiene i passeggeri a distanza, e interdire l’uso della porta anteriore lasciando attiva solo quella posteriore. Ma per ora niente mascherine, tranne che per gli addetti alle manutenzioni, per chi lavora in coppia come i macchinisti e i capotreni delle ferrovie metropolitane tipo Roma-Ostia Lido. Il Comitato previsto dal Protocollo, che in Atac si è costituito, le prevede: “Ma chissà se funzionano, se ti proteggono davvero”, conclude Aschettino.
I guidatori degli autobus sono in prima linea, si assumono delle responsabilità sempre, non solo in questi giorni di emergenza sanitaria. Non a caso spesso sono gli autisti a essere presi di mira dai cittadini, mentre svolgono il loro lavoro raccolgono le tensioni sociali. “È difficile far rispettare le disposizioni in tempi di normalità, figuriamoci adesso - aggiunge Eugenio Stanziale, segretario generale Filt Cgil Roma e Lazio - Il bus chi pensi che lo prenda? La parte più povera della città, chi dalla periferia si deve spostare verso il centro di Roma. In questa fase ci sono linee che sono piene comunque, dove viaggia il lavoro povero, il lavoro nero, quello grigio, insomma chi non si può fermare. È per questo che è un servizio essenziale”.
Sì, però ridotto. Meno corse vuol dire meno biglietti (almeno il 90 per cento) e quindi meno introiti. A differenza di altre aziende di trasporto pubblico, Atac, che è tra le più grandi d’Europa, non vive solo del contratto di servizio ma anche delle risorse derivanti dalla bigliettazione. È per questo che c’è una crisi di liquidità e che l’azienda ha comunicato ai sindacati che sono a rischio gli stipendi di maggio. Dopo aver consumato l’ordinario, ferie, permessi, e così via, e aver attivato tutto lo smart working possibile, si farà ricorso al fondo degli autoferrotranvieri per 4 mila lavoratori su 11 mila. Una bella batosta per le famiglie interessate, che avranno una decurtazione notevole della retribuzione, anche perché l’azienda non intende integrare. “Il fondo copre il 60-70 per cento della retribuzione – spiega Stanziale -, quindi chi prendeva 1.300 euro avrà in busta paga sui 900. A perderci saranno i lavoratori che hanno redditi più bassi. Oggi bisogna sostenere Atac con delle risorse: critichiamo l’assenza totale del Comune in questa fase, che ha dichiarato che pagherà in base ai target fissati dal contratto di servizio. Questo meccanismo sconsiderato potrebbe portare al fallimento l’azienda, ma non lo permetteremo. La proprietà non può lavarsene le mani, scaricando la colpa su chi lavora e oggi più che mai rischia la salute per garantire un servizio essenziale ai cittadini”.