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C’è la propaganda del governo, e poi c’è l’implacabilità dei numeri. Martedì 10 settembre l’Istat ha certificato la crisi senza fine della nostra produzione industriale. Nel luglio 2024, il calo rispetto a giugno è stato dello 0,9 per cento. Se consideriamo il trimestre maggio-luglio, il decremento è dello 0,4 per cento rispetto ai tre mesi precedenti. Se il calcolo lo facciamo su base annua, nel luglio 2024 l'indice diminuisce addirittura del 3,3 per cento rispetto al luglio 2023.
Tornando all’indice mensile (ossia luglio 2024 rispetto al giugno precedente), a crescere su base congiunturale è solo l'energia (+2,3%), mentre calano i beni intermedi (-0,7%), i beni strumentali (-1,2%) e i beni di consumo (-2,3%). Venendo all’indice annuo (ossia luglio 2024 rispetto al luglio precedente), si registrano incrementi tendenziali solo per l'energia (+1,5%), mentre calano i beni intermedi (-2,8%) e in misura più accentuata i beni strumentali (-4,2%) e i beni di consumo (-5,2%).
Il commento Cgil
“Di fronte a quest’ennesima serie di dati - afferma il segretario nazionale Cgil Pino Gesmundo - che ormai certifica un declino inarrestabile della produzione industriale nel Paese, e a fronte anche dell’assoluta assenza di visioni e prospettive da parte del governo, la domanda drammatica che ci si pone è quale protagonismo potrà mai avere l’Italia in quella che si preannuncia come una delle più grandi e articolate discussioni che l’Europa si appresta a fare sulla base del cosiddetto Piano Draghi”.
Per l’esponente sindacale “il rischio evidente è quello di essere tagliati completamente fuori da tutti i processi di investimento che l’Unione Europea dovrà mettere in campo sul tema della produzione industriale e della competitività”.
Per Gesmundo ci presenteremo a quella discussione “con un sistema di telecomunicazioni frammentato e senza operatori integrati, con una crisi dell’automotive che, come certifica Istat, colpisce drammaticamente l’Italia, con il settore della chimica di base in evidente rischio di delocalizzazione delle produzioni, con importanti settori del made in Italy, come la moda, in difficoltà. E con un governo, la cui unica ricetta è privatizzare gli ultimi asset pubblici indispensabili per rilanciare il settore dell’industria e gestire in maniera utile le inevitabili transizioni digitale ed energetica”.
I settori
Tornando all'analisi dell'andamento della produzione industriale manifatturiera italiana tra il maggio 2022 e il luglio 2024, secondo l’Istat emergono “indicazioni di una contrazione generalizzata”, che è stata pari al -6,7 per cento. Il calo più accentuato si registra nel settore tessile, abbigliamento e pelli (-25%) e in quello del legno (-20,7%), che “hanno probabilmente risentito – si legge nella Nota – delle dinamiche inflazionistiche e della diminuzione del potere d'acquisto dei consumatori”. A soffrire sono anche i comparti della produzione di beni alimentari, bevande e tabacco (-2,0%), la fabbricazione di mezzi di trasporto (-1,8%) e altre industrie manifatturiere (-0,9%).
Se prendiamo in considerazione l’ultimo anno (ossia dal luglio 2023 al luglio scorso), si confermano le grandi difficoltà del tessile, abbigliamento e pelli (-18,3%) e della produzione dei mezzi di trasporto (-11,4), cui si aggiungono le attività estrattive (-5,9%), l’industria di legno, carta e stampa (-5,1) e la fabbricazione di macchinari (-4,3%).
Le previsioni dell’Istat
“I dati disponibili non sembrano al momento segnalare la fine della fase di contrazione della produzione industriale”, afferma l’Istituto nella Nota sull'andamento dell'economia: “L'incertezza che caratterizza l'evoluzione congiunturale nei mesi a venire rende inoltre difficile ipotizzare il timing dell'inversione ciclica dell'indicatore”.
L’analisi dell’Istat, in conclusione, sottolinea che “alcuni elementi potrebbero giocare un ruolo propulsivo (la discesa dei tassi di interesse e la prosecuzione del processo disinflazionistico, che determinerebbero un sostegno agli investimenti e al potere d'acquisto delle famiglie)”, mentre altri potrebbero essere “di freno” (la persistenza delle tensioni geopolitiche e un aumento dei prezzi delle materie prime, il rallentamento della domanda internazionale)”.