L’università italiana rischia di essere spenta: tagli ai finanziamenti, precariato sempre più diffuso e, come se non bastasse, un disegno di legge che punta a renderla sempre più precaria, rendendo ancora più accidentati i percorsi preruolo per entrarvi in pianta stabile. Per “riaccenderla” gli Stati di agitazione dell’università (un coordinamento di organizzazioni sindacali, associazioni della docenza universitaria e dei dottorandi, assemblee precarie e comitati di ateneo), sta promuovendo e partecipando alle mobilitazioni di questi mesi: una comunità universitaria in lotta che, proprio nei giorni scorsi, la ministra Bernini ha bollato con sprezzo come “professionisti della protesta”.

In questo video raccogliamo le testimonianze di tre voci di questa comunità. Luca Scacchi, responsabile docenza universitaria Flc Cgil, denuncia il fatto che in questi anni nelle università italiane il numero dei ricercatori precari è arrivato alla quota spropositata di 30 mila persone (ricercatori a tempo determinato, assegnisti, contrattisti di vario tipo, borsisti).

Leggi anche

Nel contesto di un’università “largamente sottofinanziata e rispetto alla quale il governo sta producendo ulteriori tagli, inoltre, la ministra Bernini ha pensato di proporre un ddl (il 1240, ndr) che mantiene queste figure precarie - in maniera particolare gli assegnisti di ricerca, anche se con un altro nome- e ci aggiunge altre tipologie senza diritti, senza tutele e senza garanzie”.

Proprio in questi mesi, continua, “ci stiamo battendo perché riteniamo fondamentale fermare questo disegno di legge” e “abbiamo scritto una lettera alla task force dell’Unione europea sul Pnrr, perché pensiamo che questo disegno di legge svuoti e annulli la riforma del 2022 che il Parlamento italiano aveva deciso di inserire nel Pnrr”. Questa riforma, ricorda il dirigente sindacale, “prevedeva un’unica figura di contratto a tempo determinato dopo il dottorato, biennale, con tutte le garanzie del caso”.

Per la Flc è poi necessario “finanziare i contratti di ricerca e aprire le porte a un piano straordinario di stabilizzazione”. Una direzione dunque opposta a quella di un governo che, oltretutto, ha tagliato il Fondo di finanziamento ordinario per la prima volta dal 2015, un fondo che comunque era già in calo in termini reali dal 2022 per l’inflazione.

Irene De Blasi è una ricercatrice a tempo determinato in matematica all’Università di Torino. La sua storia è quella di tanti: “Per quanto il mio contratto sia di tre anni e su di esso ci sia scritto che il posto è rinnovabile per altri due anni, la mia università mi ha già fatto sapere che questi due anni non ci saranno perché non ci sono i soldi per finanziarlo”. De Blasi sta entrando nel suo terzo anno “e dopo le mie alternative saranno una condizione ancora più precaria o la ricerca di un lavoro all’estero”. Non manca l’ironia: “Scherzando con amiche e amici dico che nella mia dispensa ci sono cibi che hanno scadenza più lunga del mio contratto”.

La ricercatrice è anche vice segretaria dell’Adi (Associazione dei dottorandi e dottori di ricerca in Italia): "Quotidianamente riceviamo segnalazioni che ci raccontano cosa significhi vivere il precariato nell’accademia”. Tanto disagio generato dal non sapere che fine si farà l’anno prossimo. “Per noi - conclude - la ricerca è lavoro e come tale va trattato a ogni livello, garantendo dignità”. Per questo “chiediamo contratti con tutele e un reclutamento ciclico che permetta alle persone di avere una pianificazione del proprio futuro”.

Infine, la testimonianza di Donatella Genovese, dottoranda in intelligenza artificiale alla Sapienza di Roma, ci ricorda che “col costante aumento del costo della vita e degli affitti, vivere a Roma con una borsa di dottorato sta diventando impossibile. Per questo “siamo costretti spesso a lavori extra per arrivare a fine mese, sacrificando tempo e energie che dovrebbero essere dedicate alla ricerca”.

Quanto al futuro, Genovese l’anno prossimo finirà il proprio percorso di dottorato. E poi? “Poi non ci sono prospettive chiare per un percorso post dottorato: i contratti di ricerca sono bloccati e l’assegno di ricerca non è stato più prorogato”. Il risultato, osserva amaramente, è che “non so se sarò costretta ad abbandonare la ricerca, se dovrò trovare un lavoro presso privati. Vorrei continuare a lavorare nell’università, ma al momento non sembrano esserci opportunità e condizioni per poterlo fare”.