Cora è una giovane donna di 38 anni, lunghi capelli che arrivano sulle spalle, e un’inflessione nella voce che quasi da subito svela la sua origine veneta, e al contempo tradisce la stanchezza di un’altra notte difficile da dormire. L’ha trascorsa al Cnr, che lei e altre decine di ricercatori stanno occupando dal 28 novembre scorso, in segno di protesta. Non è la prima volta che accade qui alla sede centrale del Consiglio Nazionale delle Ricerche, a Roma. L’ente nazionale più prestigioso, che svolge “attività di interesse prioritario per l'avanzamento della scienza e per il progresso del paese”, grazie al lavoro di ricercatori estremamente qualificati e molto spesso totalmente precari.

SCADE A DICEMBRE 

Cora lavora qui dal gennaio del 2019. Una serie di assegni passati di rinnovo in rinnovo, fino a che non si può più. La legge italiana vieta, dopo sei anni, la possibilità di rinnovo. L’assunto è che, in un mondo giusto e ideale, siano il tempo sufficiente oltre il quale non è più procrastinabile un’assunzione. Ma nel mondo, reale e sbagliato, dove vive Cora, a pochi giorni da Natale le hanno comunicato che per lei, come in una competizione, il gioco finisce qui. La rabbia e la preoccupazione per il proprio percorso personale. Ma anche tanta amarezza, per un progetto al quale, negli ultimi sei anni, si è dedicata con entusiasmo e passione.

ricercatori precari davanti al Cnr

LA RICERCA TREMA 

Dopo la laurea in architettura ha preso un dottorato in studi urbani all’Aquila, seguendo da vicino la ricostruzione post-terremoto del 2009. Sei anni fa era arrivata al Cnr per un progetto sulle misure di mitigazione del rischio sismico, proprio per via di questa sua esperienza pregressa in una città che ancora oggi porta i segni di quella catastrofe. “Noi validiamo tutta una serie di strumenti di prevenzione sismica e facciamo formazione ai tecnici comunali e ai professionisti”. Il progetto, coordinato da un ente nazionale, sarà rinnovato, ma al momento su questo tipo di progetti il Cnr non predispone strumenti per rinnovare il personale precario. E da questa scelta, non immediata nel tempo, dipende il futuro professionale delle persone come Cora.

"SIAMO IN STALLO, COME LA RICERCA”

Un gruppo di lavoro composto da una ventina di ricercatori, di cui un terzo in scadenza. Una brutta espressione che fa pensare a qualcosa che marcisce e non può più essere utilizzato. A differenza di queste lavoratrici e lavoratori che, invece, sono menti lucide al servizio della scienza. Insieme a loro, un terzo del lavoro prodotto per questo progetto scivolerà via. Resteranno i documenti, quelli sì. Ma se ne andrà il capitale umano. “Perché il Cnr – dice Cora – non vive solo di strumentazione tecnica e laboratori. Vive anche, e soprattutto, di persone. E oggi noi siamo in stallo. Proprio come la ricerca”. Lei e altri colleghi se ne andranno alla spicciolata entro la fine di dicembre, come da anni succede ai ricercatori del Cnr.

L’ETERNA DANNAZIONE DEI PRECARI

Le occupazioni, le proteste, le mobilitazioni, e poi il silenzio, soprattutto delle istituzioni e del governo. Come se si pensasse di poterli lasciare senza risposte in eterno, tanto le cose vanno così. “Ciclicamente si creano queste sacche di precari non più numericamente sostenibili. Alla fine qualcuno viene stabilizzato, e poi si ricomincia da zero, fino alla prossima mobilitazione”.

NESSUNA STABILIZZAZIONE

Stavolta, però, le cose sembrano più complesse, perché la presidente Maria Chiara Carrozza di stabilizzazioni non ne vuole neanche sentire parlare. Non le basta guardare le facce di precari, con nome e cognome, appiccicate, nottetempo, sulle porte di ingresso che conducono al suo ufficio, nel corso dell’occupazione. “I conti non ci tornano – spiega Cora – le avevamo chiesto una ricognizione di tutti i precari al momento presenti nell’istituto. Ma nel foglio excel che ci hanno consegnato non ci sono neanche io. Non ci sono assegnisti di ricerca con più di cinque anni di esperienza”.

"SIAMO GIOVANI DIVENTATI VECCHI”

Invisibile due volte: “Per lei siamo zero. Ci siamo trovati di fronte un muro di gomma. Per questo abbiamo deciso di iniziare questa assemblea permanente, grazie anche al sostegno di Cgil, Cisl e Uil. Diversi esponenti dell’opposizione sono venuti a trovarci. Ma dal governo non s’è visto nessuno”. Si rabbuia, poi, quando le chiedo come passerà le vacanze di Natale, cosa prova quando pensa al suo futuro: “Ci chiamano i giovani della ricerca, con questa retorica che non sopporto. Perché la verità è che non siamo più tanto giovani”.

"VORREI UN SECONDO FIGLIO, MA RIMANDO ANCORA”

Forse Cora ha paura di invecchiare. Ma non in senso assoluto o anagrafico. Quell’invecchiare mentre si aspetta che il tempo passi e succedano le cose, mentre si spera. E nel frattempo, da madre di un bimbo di tre anni, ogni giorno rimanda la possibilità di un fratellino, di un’altra gravidanza. E i sogni, i desideri, si spostano di un altro millimetro più in là. “Io ancora però un piano B non ce lo voglio avere” conclude.

LA PASSIONE SI PAGA SE È LAVORO

In lei la speranza abita ancora: “Quando capirò che non c'è più niente da fare, mi fermerò. Lo so che sembra una cosa sciocca da dire, ma noi ricercatori siamo tutti un po’ così. Abbiamo una passione talmente forte che finiamo per accettare soluzioni, diciamo così, un po’ creative per le nostre vite”. Ma che nulla hanno a che fare- aggiungiamo noi - con il concetto di lavoro e di dignità.