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“L’aggravarsi della diffusione del Coronavirus nel Paese ha obbligato il governo a decisioni radicali, giustamente imposte a tutti i cittadini italiani.Tra i provvedimenti più urgenti e necessari vi è quello dell’obbligo di rimanere a casa, salvo casi di comprovate esigenze. I lavoratori di Poste Italiane, per la particolarità del servizio che espletano, non appartengono al novero dei cittadini che restano a casa per arginare il contagio del virus”. È quanto precisano in un comunicato unitario le sigle sindacali del settore (Slp Cisl, Slc Cgil, Uilposte Uil, Failp Cisal, Confsal, Com Fnc, Ugl Com.ni).
“Questi lavoratori, siano essi sportellisti negli uffici o portalettere nelle strade – precisano i sindacati –, sono a rischio elevato perché a contatto diretto con le persone, nonostante tutte le precauzioni possibili. Gli uffici postali restano aperti, ove possibile, e la posta viene consegnata ovunque per aiutare il Paese a non bloccarsi totalmente. Questo servizio, non sempre indispensabile e di comprovata esigenza, non deve mettere a rischio la salute dei lavoratori postali, già colpita in molte aree del Paese. È necessario quindi che si faccia chiarezza su ciò che è urgente e indifferibile nell'erogazione dei servizi postali per poter diradare la presenza dei cittadini nei nostri uffici”.
I sindacati ricordano che ieri (17 marzo) “alle Poste si sono effettuate 565 mila operazioni di sportello e di queste 300 mila solo di operazioni di pagamento. Noi ci rivolgiamo al governo e alle aziende di utility di tutto il paese per chiedere loro se sia possibile e necessario, mentre la gente muore, posticipare di almeno un mese la scadenza dei pagamenti delle utenze, al pari delle altre scadenze già differite dal governo. Questo consentirebbe il minor afflusso di persone negli uffici e, di conseguenza, di minor utilizzo di personale in servizio. Pensiamo che, di fronte alla tragedia che il Paese sta attraversando, ciascuno sia obbligato a dare il proprio contributo. Prima la vita dei cittadini e dei lavoratori e dopo il conto economico delle aziende”, concludono le organizzazioni sindacali.