PHOTO
Dopo il piccolo aumento del mese scorso, l’occupazione a dicembre 2021 resta ferma (+1,4 mila occupati) e il dato totale si attesta sotto i 23 milioni di occupati. Si conferma dunque la tendenza, verificata nel corso di tutto l’anno, di una crescita occupazionale molto più bassa di quella del Pil. Se su base annua, il Pil cresce del +6,5%, l’occupazione molto meno e anche nell’ultimo trimestre, ad una crescita del Pil del +0,6%, la crescita dell’occupazione si ferma ad un +0,3%.
Una ripresa con poco lavoro dunque, e in più con occupazione precaria e con una crescita salariale inferiore a quella dell’inflazione. I dati Istat confermano che, qualunque sia il riferimento temporale della comparazione, la qualità della nuova occupazione è precaria. A dicembre i dipendenti a termine sono 3.077.000, in continua crescita durante tutto il 2021.
Nell’ultimo mese, calano i dipendenti permanenti (-7 mila) e crescono solo i tempi determinati (+59 mila). Continua il calo degli indipendenti (-51 mila), ormai stabilmente sotto la soglia dei 5 milioni.
Anche il riferimento trimestrale (luglio-settembre 2021/ottobre-dicembre 2021) vede un aumento molto basso di occupati (+70 mila) composto anche in questo caso prevalentemente da occupati a termine con una crescita di +92 mila unità e un calo sia dei permanenti (-17 mila) che degli indipendenti (-5 mila). Infine, su base annua (dicembre 2020-dicembre 2021), l’aumento dell’occupazione dipendente è per il 73,5% a termine. Rispetto a febbraio 2020 (pre-pandemico), il numero di occupati è ancora inferiore di -286 mila unità.
Molti altri dati sono desumibili dal rapporto Istat. Ad esempio, nonostante una crescita numerica, il tasso di occupazione delle donne resta ancora molto basso (50,5%), inferiore di 17,1 punti percentuali rispetto agli uomini; il numero di inattivi resta di 13 milioni di persone e con un’incidenza che è la più alta dell’Unione Europea; gli occupati di età 35-49 anni è l’unica che rimane agli stessi livelli di dicembre 2020.
In sintesi, quello che appare evidente, contrariamente a molte affermazioni dei mesi scorsi, è che non solo l’aumento dell’occupazione è insufficiente, ma che la precarietà è la scelta quasi assoluta delle imprese. Una situazione insostenibile e non accettabile. È quindi necessario ed estremamente urgente, decidere che le scelte, almeno per quanto riguarda l’utilizzo degli investimenti pubblici, siano orientate a invertire questa tendenza. Per discutere di qualità dello sviluppo anche il tema della giustizia e della compatibilità sociale è fondamentale. Il lavoro e la sua qualità ne sono un elemento essenziale: un salario e un lavoro dignitoso sono una cartina di tornasole fondamentale della qualità dello sviluppo e anche un elemento essenziale per la sua durata futura.
(Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio)