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L’auto perde i pezzi e con essi anche i lavoratori. Accade alla Pininfarina, la storica carrozzeria automobilistica torinese, fondata nel 1930 dai fratelli Farina (Giovanni e Battista, detto Pinin) e controllata dal 2015 dalla multinazionale indiana Mahindra - che ha comunicato ieri, 28 ottobre, la decisione di chiudere la propria società d’ingegneria che dà lavoro a 138 addetti, tutte alte professionalità nell’ingegnerizzazione dell’auto. La capogruppo, dopo due anni di perdite, dovute all’assenza di prospettive di mercato, a causa della pandemia, ha deciso di liquidare la Pininfarina Engineering per rafforzare la sua presenza nel settore dell’automotive. Alla base di tutto, due progetti andati a male: uno in Iran e l’altro in Cina, che avrebbero causato perdite per complessivi 150 milioni alla società, a seguito dell’embargo internazionale, in un caso, e del fallimento della start up cinese, nell’altro. Un crollo finanziario dell’azienda, che ha portato alla necessità di mettere la parola fine allo spin-off dedicato all’auto.
Un autentico paradosso, se si pensa che Pininfarina fa parte della storia dell’automobile ed è diventata nel secondo Dopoguerra un costruttore di carrozzerie così prestigioso da fare epoca, al pari di Bertone e Giugiaro, con la creazione del design per vetture quali la Ferrari Testarossa, l’Alfa Romeo e la Giulietta spider, la Lancia Flavia coupè, la Dino e la Fiat Campagnola. Ha prodotto un po’ per tutti i marchi, arrivando negli anni Sessanta e Settanta ad avere tre stabilimenti e oltre duemila dipendenti. Poi, il lento, ma inesorabile declino, che ha portato alla cessione nel 2015 al gruppo indiano, dopo che nel 2008 era morto improvvisamente in un incidente stradale Andrea Pininfarina, già amministratore delegato e presidente della celebre carrozzeria.
Di fronte all’annuncio della chiusura, immediata è stata la risposta di Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil provinciali,, che hanno subito organizzato ai cancelli della fabbrica di Cambiano, nell’hinterland torinese, un’assemblea con tutti i 220 lavoratori del gruppo, cui ha fatto seguito l’attuazione di uno sciopero di otto ore, sempre nella giornata del 28 ottobre. I sindacati sono preoccupati ora per l'ultimo pezzo rimasto, il Centro stile, focalizzato sul design, dislocato sempre a Cambiano, e per la situazione dell'indotto in generale: “E’ un altro pessimo capitolo che s’innesta nella lunga crisi economica del nostro territorio” - rileva Edi Lazzi, segretario generale Fiom Torino -. “Anziché la chiusura, ci saremmo attesi una politica d’investimenti, in grado di svoltare verso l'auto elettrica - rileva Arcangelo Montemarano, responsabile Firn Pinerolo -, per assicurare un futuro a un'azienda così prestigiosa”.