I pesticidi fanno male: alla terra, alla salute, al clima. Sono persistenti, pervasivi e altamente tossici. Non lo diciamo noi, lo affermano fior fiore di studi, ricerche, sperimentazioni. Nonostante questo, sul fronte della riduzione dell’uso di queste sostanze nocive stiamo facendo grandi passi indietro. A livello europeo come in Italia.

Dietrofront europeo

A marzo scorso c’è stato il ritiro da parte della Commissione del regolamento per l’utilizzo sostenibile dei fitofarmaci, che conteneva obiettivi di diminuzione legalmente vincolanti per gli Stati, un grave colpo alle strategie del Green Deal e del Farm to Fork, e alla tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini, lavoratori compresi.

Il dietrofront di Ursula Von der Leyen è seguito alla protesta dei trattori, agricoltori in rivolta scesi in piazza per le strade di Bruxelles perché esasperati dal costo elevato delle materie prime, carburanti ma anche sostanze chimiche di sintesi. Un paradosso, quindi, il passo indietro, visto che la proposta di regolamento mirava alla riduzione del 50 per cento rispetto al triennio 2015-2017 entro il 2030.

Più bio ma più contaminazione 

Puntare alla diffusione del biologico è l’unica strada che l’Europa sta seguendo per arginare la diffusione della chimica in campo. Nella lettera di missione per i commissari all’Agricoltura e alla Salute inviata dalla Von der Leyen, c’è l’indicazione dell’impegno a incrementare la superficie coltivata a biologico, per arrivare al 25 per cento entro il 2030. L’Italia è molto vicina al traguardo, siamo al 19,8 per cento e nella programmazione della Pac 2023-2027 abbiamo deciso di anticipare l’incremento al 2027.

Il ministero dell’Agricoltura, però, si appresta a varare una bozza di decreto in cui si disciplinano le contaminazioni accidentali di fitofarmaci nel bio, alzando i limiti di tolleranza in maniera considerevole. “Fino a 20 volte in più di quanto oggi è ammesso – spiega Franco Ferroni, responsabile agricoltura e biodiversità del Wwf Italia -. E le associazioni del biologico che fanno? Anziché ribellarsi, sembrano rassegnate all’idea di dover convivere con i pesticidi”.

Consumo in discesa

Ritirando il regolamento è chiaro che la Commissione rinuncia a dotarsi di uno strumento efficace per raggiungere gli obiettivi di riduzione, puntando quindi solo sulla diffusione del biologico. D’altro canto, se si aumenta la superficie del bio si amplia il non uso dei prodotti chimici.

“Secondo i dati Eurostat, negli Stati membri sono diminuiti in questi anni il consumo e la vendita del prodotti chimici di sintesi – afferma Ferroni -, proprio perché in alcuni Paesi come l’Italia è cresciuta la superficie del biologico e perché sono aumentati i costi dei prodotti, complice la guerra in Ucraina che ha fatto schizzare alle stelle i prezzi delle materie prime energetiche. Quindi gli agricoltori, per contenere le spese, hanno ridotto l’uso dei fitosanitari”.

Danni, le evidenze scientifiche

E dire che non passa settimana in cui non emergano evidenze sulla pericolosità e tossicità dei pesticidi. Un recentissimo studio pubblicato sulla rivista Cancer collega 22 sostanze al tumore alla prostata. Qualche giorno fa in Francia si è aperto un processo sulla morte di Emmy, morta di leucemia a 11 anni molto probabilmente a causa dell’esposizione della madre fiorista, durante la gravidanza, ai pesticidi presenti sui fiori che maneggiava per lavoro.

I ricercatori del Laboratorio europeo di biologia molecolare hanno scoperto che oltre 500 sostanze usate in agricoltura e ritenute fino adesso non dannose (pesticidi, erbicidi, altri agro chimici) risultano avere conseguenze sugli insetti anche se utilizzate in piccolissime quantità: i risultati sono stati pubblicarti sulla rivista Science.

Prima di tutto i lavoratori

“Chi paga il prezzo più grande dei passi indietro compiuti dalla politica europea sui pesticidi sono i lavoratori – afferma Jean-René Bilongo, presidente della fondazione Osservatorio Placido Rizzotto -. Quando si parla di fitofarmaci in agricoltura, si pone l’accento sempre sui danni all’ambiente e sui pericoli per i consumatori, ma non si parla mai dei lavoratori. Invece è proprio la loro salute che va tutelata in via prioritaria. Perché ricerche scientifiche ed evidenze epidemiologiche dimostrano che sono loro che si ammalano, e che muoiono per l’esposizione prolungato agli agenti chimici di sintesi”.

IRRORAZIONE DI PESTICIDI SU RISAIA CON TRATTORE FOTO DI © ROBERTO SACCO/AG.SINTESI FARMER SPRAYING PESTICIDE ON RICE PADDIES
IRRORAZIONE DI PESTICIDI SU RISAIA CON TRATTORE FOTO DI © ROBERTO SACCO/AG.SINTESI FARMER SPRAYING PESTICIDE ON RICE PADDIES
IRRORAZIONE DI PESTICIDI SU RISAIA CON TRATTORE FOTO DI © ROBERTO SACCO/AG.SINTESI FARMER SPRAYING PESTICIDE ON RICE PADDIES

La Convenzione Ilo

In Italia abbiamo normative straordinarie per la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, ma non sono sufficienti. Lo strumento principe per proteggere i lavoratori c’è ed è la Convenzione dell’Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro, ndr), la 184 del 2001, che riguarda il settore specifico, l’agricoltura. Peccato che noi non l’abbiamo mai ratificata, nonostante siamo la sede delle principali organizzazioni delle Nazioni Unite che si occupano di sicurezza alimentare, agricoltura e sviluppo sostenibile. Ma siamo in buona compagnia: nella grande Europa a 27 sono pochissimi gli Stati che l’hanno fatto, e a parte la Francia, nessuno dei grandi.

Nei campi senza protezioni

“Nella quotidianità del sindacato di strada, andando in giro nei campi e nei ghetti, prima riscontravamo patologie osteomuscolari, adesso malattie oncologiche – prosegue Bilongo -. Non che prima non ce ne fossero, ma adesso le intercettiamo. Chi lavora nei campi lo fa senza dispositivi di protezione, senza mascherine, niente. Abbiamo sentito qualcuno dire: dategli da bere l’acqua del canale di scolo. È L’acqua dove finiscono i pesticidi. I lavoratori vivono immersi negli agenti chimici 24 ore al giorno. Si ammalano e muoiono”.

Fatima, Rajinder e gli altri

È capitato a Fatima, giovane marocchina, da 16 anni a Eboli (Salerno), al centro della Piana del Sele, terra di colture intensive: viene costretta col ricatto a entrare nelle serre subito dopo i trattamenti con antiparassitari e anticrittogamici. Si ammala di meningite da meningococco di gruppo C, fulminante. Arriva la cancrena, la donna perde i piedi e parte delle mani. Solo i trattamenti in camera iperbarica riescono bloccare l’avanzata della malattia.

È successo a Rajinder Singh, giovane indiano trovato morto nel suo giaciglio all'interno dell'opificio di proprietà di una società agricola di Torrimpietra (Roma), un manufatto senza cucina né bagno, senza elettricità né acqua potabile dove vengono stoccati attrezzi ed erbicidi: dall’autopsia risulta che ogni centimetro del suo corpo è avvelenato da diserbanti e fitofarmaci maneggiati per anni senza protezioni.

È capitato a quattro ragazzi pakistani, rimasti ustionati nelle campagne di Pordenone dai fitofarmaci spruzzati sui filari d’uva proprio mentre stavano lavorando. Nonostante si sentissero male e l’aria fosse irrespirabile, il caposquadra aveva ordinato loro di finire il lavoro.

Un lungo percorso

E ancora. Ci sono studi che dimostrano che l’esposizione agli agenti chimici provoca disturbi mentali. “E se vai nei ghetti c’è tanto disagio mentale, troppo – conclude Bilongo -. In Francia, dove sono davvero avanti nella tutela dei lavoratori in agricoltura grazie alle battaglie dell’associazione Phyto-Victimes, dal 2013 riconoscono il morbo di Parkinson come malattia professionale causata da esposizione ai pesticidi. Lì hanno elaborato protocolli e linee guida, hanno avuto il coraggio di scagliarsi contro i colossi dei fitofarmaci. Ecco, questo lavoro straordinario vorremmo che ci ispirasse”.