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Il Report non è di un centro studi che si occupa di lavoro, nemmeno di quello dei consulenti del lavoro. È frutto dell’osservazione e della ricerca del Forum Diseguaglianze e Diversità, ma l’analisi dei dati squaderna sotto gli occhi di tutti l’arretratezza del mercato del lavoro italiano. E l’arcaicità. Le donne non sono solo poche, ma anche vittime di una doppia segregazione: sono concentrate nei livelli medio-bassi e nei settori più dequalificati e quindi poveri. Per di più sono più precarie dei colleghi uomini e vittime involontarie del tempo parziale, che però spesso viene contrabbandato come strumento di conciliazione. Il combinato disposto tutti questi fattori li relega in un destino di povertà, oggi e nel futuro quando andranno in pensione. E la prima donna alla presidenza del governo vorrebbe relegarle in casa ancor di più visto che – ad esempio – destina il bonus una tantum previsto per gennaio 2025 solo a quei lavoratori con un reddito entro i 28 mila euro che abbiano coniuge e figlio a carico.
I numeri dicono
“Da conciliazione a costrizione: il part-time in Italia non è una scelta. Proposte per l’equità di genere e la qualità del lavoro”, questo il titolo dello studio che certifica: “Tra le donne, che rappresentano circa i tre quarti delle persone occupate a tempo parziale, è più diffuso anche il ricorso al part-time involontario: pesa infatti per il 16,5% sul totale delle donne occupate contro il 5,6% degli uomini occupati”.
Giovani e segregate in basso
Proprio in queste ora a Roma sono in corso gli Stati generali della natalità. E sempre in queste ore arriva la notizia – se ce ne fosse bisogno – che il governo guidato da Meloni e il ministero della Natalità, della famiglia e delle pari opportunità guidato da Roccella, hanno deciso di svuotare il Family Act non presentando i decreti delegati che la legge targata governo Draghi richiedeva. Così vanno in fumo i buoni propositi di sostegno alle famiglie. La domanda che sorge spontanea – allora – è come Meloni e la sua ministra pensano possano nascere più figli, visto che sono proprio le giovani donne, quelle che i figli potrebbero decidere di farli, le più colpite dalla precarietà? Il 21% delle occupate a tempo parziale ha tra i 15 e i 35 anni, quelle con 55 anni e oltre si attestano al 14%. Non solo: “Tra le persone impiegate in professioni non qualificate si registra il differenziale maggiore: 38,3% per le donne contro il 14,2% gli uomini”.
Se vivi al Sud il destino è segnato
Lo studio indica con nettezza che la provenienza geografica fa la differenza: “I dati mostrano che il part-time involontario è più frequente anche nel Mezzogiorno, tra le persone straniere, tra chi possiede un basso titolo di studio e tra le persone con un impiego a tempo determinato: 23% contro il 9% del tempo indeterminato, e il 7% degli e delle indipendenti”. La domanda, allora, è cosa succederà se venisse approvata l’autonomia differenziata?
La doppia segregazione
Anna Maria Simonazzi è un’economista, presiede la Fondazione Brodolini, spiega così i dati del Forum Diseguaglianze e Diversità: “Le donne sono concentrate in alcuni settori, i servizi, il commercio che offrono condizioni di lavoro peggiori rispetto – ad esempio – all’industria, perché sono la componente più fragile del mercato del lavoro”. La causa di questa fragilità? Secondo la professoressa è la maternità, reale o potenziale. Quando le donne sono presenti in settori a larga manodopera maschile sono segregate nei livelli più bassi e in condizioni peggiori. E la ragione è sempre la stessa: il peso della genitorialità si scarica negativamente sulle donne.
Il valore sociale della genitorialità
Sempre la ministra Roccella, nei giorni scorsi, ha affermato che essere madre è il lavoro socialmente utile. Le risponde Simonazzi domandando: “Fare figli deve essere un problema della singola madre o è un problema della società? È lo Stato che deve consentire alle donne che desiderano diventare madre di avere una vita lavorativa piena, fornendo i servizi che consentano la conciliazione tra maternità – meglio genitorialità – e piena realizzazione nel mercato del lavoro”. “Le giovani – aggiunge - non vogliono più rinunciare a una propria realizzazione professionale per stare a casa a fare i figli, ma non se lo possono neanche più permettere, perché voglio vedere quante sono le famiglie che possono sopravvivere con il famoso brad winner, cioè con un solo salario”.
La debolezza delle imprese
Il 12% delle imprese italiane fa un uso strutturale del part-time impiegando oltre il 70% del personale a regime orario ridotto. E ben il 61% di queste imprese occupa prevalentemente – in alcuni casi – esclusivamente donne. Per di più sono concentrate prevalentemente nel Sud del Paese. Insomma le imprese fragili, a minore valore aggiunto, sono meridionali e largamente a predominante manodopera femminile. Sono piccole o piccolissime imprese e quasi per nulla sindacalizzate.
Un modello economico perdente
Matteo Luppi, ricercatore Inapp, sostiene: “L’utilizzo del part-time strumentale è funzionale a un modello di impresa che punta non sulla produttività o sull’innovazione, ma sulla riduzione del costo del lavoro”. Si assumono addetti a tempo parziale e magari anche a tempo determinato, poi magari le si obbliga allo straordinario che notoriamente costa meno del salario ordinario. Non solo, aggiunge Luppi: “Al di là degli straordinari, è anche una forma di lavoro parzialmente regolare. Perché c'è il part-time che è la parte emersa del lavoro, poi quello stesso lavoratore o lavoratrice copre alcune ore in maniera non regolare”.
Che fare?
È la professoressa Simonazzi a sottolineare: “Occorre non solo aumentare i servizi alla persona che possono creare occupazione femminile, ma bisognerebbe spingere queste imprese ad investire in qualità: qualità del lavoro e qualità dei servizi erogati. E a questo fine può essere usata anche la tecnologia e l’algoritmo. È importante lanciare un messaggio introducendo un po’ di vincoli alle imprese nell’utilizzare il lavoro come gli pare.”
Cambiare si può
Il Forum Diversità e Differenze propone tre aree di intervento per cambiare rotta: “Contrattazione: associare il part-time al tempo indeterminato, migliorare gli strumenti per la tutela contrattuale, prevedere che i contributi previdenziali di chi lavora part-time costino di più, costruire una gradualità nella quota progressiva del costo contributivo a carico del datore di lavoro. Disincentivi alle forme involontarie di part-time: inserire un sistema di denuncia per il lavoratore o la lavoratrice, costruire una politica di incentivazione per la trasformazione da contratto part-time a contratto full time. Aumento dei controlli: aderire alla raccomandazione europea che prevede l’aumento degli ispettori del 20% monitorando le clausole concordate nella contrattazione, i contributi annui sufficienti a raggiungere la soglia, le ore effettivamente lavorate coerenti con quelle previste nel contratto”.
La firma in calce ai quattro referendum proposti dalla Cgil ha proprio l’obiettivo di ridurre la precarietà e aumentare la qualità del lavoro.