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Sono almeno trent’anni che manca una vera e propria politica industriale nel nostro Paese. "In questo arco di tempo - complice la crisi finanziaria ed economica dell’ultimo decennio - abbiamo assistito a una riduzione di circa il 25% dell’apparato nazionale e attualmente sono aperti 159 tavoli di crisi presso il ministero dello Sviluppo economico. A tutt’oggi, non c’è un vero e proprio indirizzo, ma si naviga a vista, e due grandi problemi attraversano il settore: la produzione dell’acciaio, senza cui l’Italia rischia di non avere più un apparato industriale degno di questo nome, e poi il costo assai elevato, più degli altri paesi europei, dell’energia elettrica”. È quanto ha affermato Francesca Re David, segretario generale Fiom, intervenuta oggi a Italia parla, rubrica di RadioArticolo1.
“In questo momento, la vertenza più importante è quella dell’ex Ilva, dove sono in ballo 1.359 lavoratori, finiti in cassa integrazione dal primo luglio per tredici settimane. Ieri c'è stato un incontro di monitoraggio fra Arcelor Mittal, governo e sindacati, per verificare lo stato d’attuazione del nuovo piano 2019-23, dopo che il 5 luglio i sindacati avevano incrociato le braccia per otto ore proprio per evitare la cigs. Il confronto si è limitato all'informazione e a tutt'oggi non è chiaro se l’azienda rimarrà o meno, né se sia interessata a un tavolo negoziale con il sindacato. Noi abbiamo chiesto il ritiro della Cassa, di discutere dell'avanzamento del piano industriale e del piano ambientale e di trovare soluzioni alternative, anche perchè quell'azienda ha bisogno di fortissime manutenzioni, in particolare l'impianto di Taranto, che durante gli anni dell'amministrazione straordinaria è rimasto molto indietro", ha sostenuto la leader della Fiom.
Non esiste un quadro giuridico che dia certezze. Al contrario, c’è sempre il pericolo che la nuova proprietà rescinda il contratto e se ne vada. "Nel frattempo, la faccenda si complica, dopo che il tribunale di Taranto ha decretato la chiusura di uno dei tre altoforni, a dimostrazione di come sia complicato lavorare nella fabbrica dell’acciaio più grande d’Europa. Oltretutto, si dovrebbe accelerare anche su ambientalizzazione e ammodernamento dei macchinari. Il clima d’incertezza complica la situazione e lo spegnimento fa presupporre un elemento definitivo rispetto al futuro dell’impianto”, ha osservato la dirigente sindacale.
“Anche su Piombino siamo in una fase di passaggio, dove Jindal ha posto il problema del costo dell’energia elettrica, senza averlo ancora risolto. È un tema che incide sulla produzione e va affrontato e risolto al più presto. Di sicuro l’azienda vuole contributi economici importanti, e c’è bisogno di un ruolo più forte del ministero di quello che c’è stato finora”, ha aggiunto la sindacalista.
“Spostandoci di territorio, incontriamo le crisi di Whirlpool e Jabil. Nel primo caso, credo che il governo debba far rispettare il piano industriale che l’azienda ha completamente stravolto, seguendo decisioni prese oltreoceano. Bisogna trovare le soluzioni per salvaguardare le professionalità esistenti in quell’impianto, nonchè la produzione, in un ambito altamente tecnologico. C’è bisogno di un confronto vero, anche nel caso di una realtà come Jabil, multinazionale fortemente in crisi da anni, dove si è supplito finora con ammortizzatori sociali, produzioni basse, dopo aver utilizzato molti soldi per lo sviluppo del polo industriale del Casertano. In quel contesto, oggi manca un piano di ripresa di sviluppo e un’idea su come rivitalizzare l’industria nel Mezzogiorno. Basta con le multinazionali che fanno come gli pare. Anche perché il Sud è sempre più povero dal punto di vista industriale, e questo incide negativamente sulla competitività italiana”, ha concluso Re David.
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