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Quattro ore di sciopero nazionale per rimettere al centro dell’agenda politica del Paese il lavoro nell’industria metalmeccanica e impiantistica. La protesta, indetta da Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil, sarà articolata per territori: venerdì 7 luglio nelle regioni del Centro-Nord, lunedì 10 luglio nel Lazio e nelle regioni del Sud.
“Sono quattro ore di sciopero di avvertimento”. Così il segretario generale della Fiom Cgil Michele De Palma, intervenendo oggi (giovedì 15 giugno) a Roma alla conferenza stampa di presentazione della mobilitazione. “Non vogliamo accompagnare il Paese alla dismissione industriale – ha spiegato – ma affrontare la transizione digitale, ambientale e industriale. La transizione si fa se la fanno i lavoratori, sia chi sta in produzione sia chi si occupa di ricerca e sviluppo”.
La metalmeccanica, dunque, è alle prese con una fase di grandi trasformazioni e di processi di transizione ecologica, energetica e tecnologica, non supportata però da orientamenti e scelte da parte dei governi. A segnalare le difficoltà della grande industria basta un dato: il 70 per cento delle crisi aperte al ministero delle Imprese riguarda aziende metalmeccaniche, per complessivi 50 mila lavoratori coinvolti.
“Occorre aprire un confronto – dicono i sindacati – tra esecutivo e parti sociali per condividere linee di intervento pubblico che convoglino investimenti sul settore”. Fiom, Fim e Uilm rilevano la necessità di “strategie industriali che impediscano delocalizzazioni, acquisizioni finalizzate esclusivamente a creare valore e dividendi agli azionisti che spesso producono desertificazione industriale, soprattutto al Sud”.
Il governo deve aprire un confronto con imprese e sindacati per “progettare” il futuro dell’industria metalmeccanica. “La progettazione – precisano le tre sigle – deve anche prevedere un contenuto sociale, per sostenere e aumentare l’occupazione, migliorare le condizioni di lavoro, ridurre l’impatto ambientale, promuovere modelli di partecipazione dei lavoratori alle scelte delle imprese e il miglioramento di salute e sicurezza”.
Le parole di Michele De Palma
“La decisione che abbiamo assunto di scioperare non è stata semplice”, ha esordito il segretario generale Fiom Cgil: “Non è facile assumersi la responsabilità di chiedere alle lavoratrici e ai lavoratori, nell’attuale contesto sociale ed economico, di rinunciare a una parte del proprio salario per mettere al centro la propria condizione e quella del futuro del Paese. Ecco, questo è un punto di estrema novità”.
De Palma ha subito affrontato il tema delle relazioni con l’esecutivo. “Il problema del rapporto con il governo e con il sistema delle imprese non è recente”, spiega il leader sindacale: “Ma oggi c’è una differenza. Col sistema delle imprese sul settore dell’automotive abbiamo costruito un documento comune, ma questo non è mai divenuto un reale oggetto di confronto con i ministeri competenti”.
L’Istat ha registrato ad aprile un calo del 7 per cento della produzione industriale. “In questo momento – illustra De Palma – la situazione dei metalmeccanici è disomogenea: abbiamo aziende che stanno lavorando, e sono quelle che stanno dentro la filiera che riguarda Germania e Francia, e aziende di crisi ormai conclamata, come la situazione dell’ex Ilva o le questioni Stellantis e dell’automotive, che continuano a percorrere un piano inclinato verso il basso”.
Che succede, si chiede il segretario generale, se “Germania o Francia, come ci dicono le previsioni, subiscono un rallentamento della produzione industriale? Noi corriamo il rischio, allora, che senza una visione strategica per il Paese anche le aziende che ora stanno lavorando vadano in difficoltà”. La Fiom, dunque, vuole affrontare questi problemi: “Il sindacato non può essere quello che si occupa dei cancelli quando iniziano a chiudere. Noi vogliamo ragionare esattamente del contrario, cioè di come si fa occupazione in Italia".
Tornando ai rapporti con il governo, il leader sindacale rimarca la presenza di “una questione strategica che riguarda la presidenza del Consiglio. Quando negli altri Paesi europei si discute di politiche industriali, ci sono i ministri competenti e c’è strategicamente una scelta che fa nella sua totalità il governo. Noi pensiamo, quindi, che la questione della centralità industriale non sia più gestibile in maniera ordinaria”.
Da qui, ad esempio, la convocazione delle Confederazioni da parte del governo per lunedì 19 giugno. “Noi andremo al tavolo convocato dal ministro Urso”, argomenta De Palma: “I tavoli, però, si fanno per fare le trattative, devono produrre accordi sulla difesa e il rilancio del nostro sistema industriale. Il nodo sta qui: che tipo di Paese vogliamo? Questo dipende da che tipo di industria facciamo”.
Per anni in Italia, continua il segretario Fiom, si è pensato che “l’industria fosse più un problema, che una parte della soluzione dei problemi. Per poi scoprire che se fai la transizione industriale senza l’industria, ti ritrovi a comprare prodotti che fanno altri e finisci nella politica dei bonus, anziché in quella degli investimenti industriali. Ecco perché noi vogliamo investire nella qualità dell’occupazione, nei rapporti stabili e non precari, nei salari degni di questo nome”.
Ed è proprio sul tema dei salari che De Palma conclude il suo intervento. “I lavoratori metalmeccanici già stanno pagando gli effetti derivanti dalla pandemia, dalla crisi economica, dall'instabilità geopolitica e da un'inflazione a livelli record”, rimarca il segretario generale: “Attraverso il contratto collettivo nazionale siamo riusciti a salvaguardare il potere di acquisto dei salari riconoscendo un incremento sui minimi, ma ora è necessario un intervento del governo di detassazione”.
I settori in sofferenza
Sono 20 mila i posti a rischio nella siderurgia, settore sotto pressione per il caro-energia, la mancanza di materie prime e il dumping incontrollato delle importazioni. “Criticità cui si sommano decisioni sbagliate dei governi – dicono i sindacati – e scelte mai realizzate, come il tanto promesso piano nazionale della siderurgia”. Una condizione drammatica che coinvolge le nostre imprese più grandi, come Acciaierie d’Italia (ex Ilva), Jsw Steel Italy (ex Lucchini) di Piombino e SiderAlloys (ex Alcoa) di Portovesme.
Dopo un aumento consistente della produzione negli anni della pandemia, l’elettrodomestico sta facendo registrare un nuovo e significativo calo. “Il settore – affermano Fiom, Fim e Uilm – deve essere al centro di politiche di reshoring e di rilancio degli investimenti tecnologici e sui prodotti”. I sindacati, inoltre, denunciano di non avere informazioni rispetto “agli annunciati cambiamenti societari delle due multinazionali, Whirlpool ed Electrolux, né garanzie sulle prospettive industriali e occupazionali”.
In difficoltà c’è anche l’automotive. La produzione di auto ha registrato un lieve aumento (400 mila veicoli in un anno) nel post-pandemia, ma siamo ancora molto lontani dal livello produttivo di 1,5 milioni di auto. E comunque il trend è in calo costante da vent’anni, con conseguenze sull’occupazione. Basti pensare che, seppur a fronte di questa leggera ripresa, i lavoratori seguitano a diminuire, come dimostrano gli accordi di uscite volontarie e incentivate che hanno riguardato oltre 7 mila dipendenti del gruppo Stellantis in Italia.
“I ritardi negli investimenti nella transizione ecologica, se non programmata e non gestita adeguatamente, metteranno a rischio ulteriori 70 mila posti di lavoro su 280 mila complessivi”, asseriscono le tre sigle, precisando di “registrare ricadute occupazionali per i lavoratori dell’indotto”. Nei confronti di quest’ultimi, infatti, è in corso un’azione molto decisa attraverso tentativi di internalizzazione (senza assunzione di personale) o superamento delle attività.
Da segnalare, infine, è il comparto dell’installazione di impianti, segnato pesantemente dalle continue gare al massimo ribasso e dall’assenza delle clausole di salvaguardia sociale. “Mentre gli altri Paesi – aggiungono i sindacati – mettono in atto piani di investimenti internazionali su tecnologie green e sostenibili per il settore metalmeccanico, il nostro Paese resta fermo”.
Per Fiom, Fim e Uilm, dunque, è necessario un più forte ruolo dello Stato nei settori considerati strategici e ad alto contenuto tecnologico. “Negli ultimi anni – spiegano – la carenza di microchip e altri componenti tecnologici ha fortemente rallentato la produzione industriale e la capacità di molte imprese di rispondere al mercato”.
Le richieste dei sindacati
Fiom, Fim e Uilm sollecitano anzitutto l’apertura di tavoli di confronto sulle questioni e sulle filiere metalmeccaniche al centro delle difficoltà industriali, nonché “l’incremento degli investimenti pubblici e privati nei settori strategici, con le necessarie garanzie occupazionali” e la reindustrializzazione delle aree in crisi, con “piani di sviluppo territoriale che garantiscano l'occupazione”.
I sindacati premono per il confronto in sede ministeriale “per l’attuazione del Pnrr, come motore di sviluppo industriale” e per l’attuazione di un “piano di reshoring nei settori strategici per accorciare le catene di fornitura”. Grande importanza viene data alla “riforma degli ammortizzatori sociali, con l’introduzione di strumenti specifici per una transizione giusta” e all’incentivazione di “contratti di espansione e di solidarietà, finalizzati alla riduzione degli orari di lavoro e all’occupazione giovanile”.
Le tre sigle, in conclusione, ritengono fondamentale promuovere “la formazione per le nuove competenze e la riqualificazione”, valorizzare il sistema universitario e tecnico pubblici e degli Its, intervenire per “aumentare la dimensione d’impresa, superare il massimo ribasso negli appalti e stabilizzare il lavoro precario”.