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L’appuntamento è in calendario per l’ultimo week end di agosto. Per tre giorni consecutivi sarà in programma un torneo di poker no-stop, nel senso che vedrà impegnati, 24 ore su 24, i lavoratori del Casinò di Venezia della succursale di Ca’ Noghera, nei pressi dell’aeroporto Marco Polo. Un fatto di normale amministrazione? Decisamente no, perché i 485 dipendenti del settore gioco (fra croupier, impiegati alle tessere, addetti alle slot machine, ai quali va aggiunto un centinaio di unità di personale della ristorazione, che compongono l’indotto) sono tutti in cassa integrazione a rotazione – anzi, per meglio dire in Fis, il Fondo d’integrazione salariale riservato agli addetti del comparto - dal 19 giugno scorso, data di riapertura della sede, mentre permane chiusa la Ca’ Vendramin Calergi, quella prestigiosa, situata nel centro storico.
“È un autentico paradosso organizzare un evento del genere in questo modo", denuncia Matteo Matteuzzi, della segreteria Slc Venezia: "Che senso ha ricorrere a una società esterna, distribuendo soldi pubblici, quando abbiamo quasi 600 lavoratori inoperosi, peraltro a carico dell’Inps, obbligando poi il personale individuato a turni massacranti, stando tutto il tempo in piedi, dalle 3,30 alle 10 del mattino, per giunta non concordati con nessuno?”.
Da qui, lo stato di agitazione proclamato unitariamente dai sindacati di categoria di Cgil, Cisl e Uil, e dalle sigle autonome Snalc-Cisal e Ugl-Rlc, che non riguarda solo l’organizzazione del lavoro di quel torneo, ma un po’ tutta la gestione ormai preponderante dell’assessore comunale sul Casinò, a scapito dell’autonomia della società e di corretti rapporti sindacali.
“La Casinò di Venezia gioco - rileva il dirigente sindacale - è una società per azioni partecipata del Comune ed è evidentemente inopportuno che venga gestita direttamente dalla proprietà, oltretutto in maniera dispotica e padronale, sostituendosi alla direzione generale e al consiglio di amministrazione dell’azienda, riducendo ai minimi termini le possibilità di confronto con le organizzazioni sindacali e annullando di fatto le relazioni industriali. Si parla tanto di salvare Venezia, di ripresa di tutte le sue attività commerciali, quando poi si tengono chiusi musei e altre funzioni precipue dell’economia della laguna. Ma se è tutto fermo, cosa ci vengono a fare i turisti?”.
Conclude l’esponente Slc Cgil: “Non vorrei che, con il pretesto del Covid-19, le aziende avessero deciso di fare quello che vogliono senza interlocutori di sorta. Non è certo così che riparte l’economia, né tantomeno si può concepire una discussione con le parti sociali se non attraverso la concertazione. Se la politica non dialoga, ma agisce solo mediante ordini perentori, financo con scelte estemporanee, finisce con il nuocere a tutti, soprattutto in un contesto turistico come il nostro. Il casinò della città vecchia è un fulcro economico basilare, su cui vive tutta una parte della città. Se vuole scommettere sul futuro di Venezia, la politica deve avere il coraggio di riaprire al più presto tutte le attività produttive, altrimenti non se ne esce”.