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“Senza l’industria l'Italia non ha futuro, Meloni ascolti chi lavora”. Intervistato da quotidiano La Repubblica, Maurizio Landini lancia l’allarme: “Siamo di fronte a un bivio: o gestiamo la transizione mettendo al centro la libertà e la qualità del lavoro oppure accettiamo la dismissione del nostro sistema industriale”. Troppe crisi aziendali non risolte, salari bassi, precarietà diffusa, tessuto sociale disgregato: “Non c’è più tempo da perdere: la premier Giorgia Meloni convochi appena possibile a Palazzo Chigi imprese e sindacati”.
Un Paese in dismissione
Landini parte da un dato incontrovertibile: siamo al diciassettesimo calo consecutivo della produzione industriale. Made in Italy, acciaio, automotive: ci sono 58 tavoli di crisi aperti, 60 mila lavoratori a rischio e altri 120 mila coinvolti nelle transizioni. “È il momento di costruire una politica industriale con un ruolo pubblico per rilanciare gli investimenti, compresi quelli privati”.
La lotta di Termini Imerese
“Quella vicenda – dice il leader della Cgil – dimostra che senza la lotta delle lavoratrici e dei lavoratori la fabbrica non esisterebbe più. Quando la Fiat annunciò la chiusura dello stabilimento diceva che investire nell’elettrico era sbagliato, per poi scegliere la fascia premium. Scelte entrambe sbagliate. Risultato: ora la proprietà è anche francese e utilizza meno della metà della sua capacità produttiva in Italia”.
L’auto e l’industria del futuro
Nell’ultimo incontro con il ministro Urso, Cgil e Uil hanno chiesto di spostare il tavolo dell'automotive a Palazzo Chigi. Perché? “Per fare sistema – risponde Landini – e per incidere sulle scelte che riguardano il futuro industriale dell'Europa. Gli incentivi a pioggia dati alle auto, fatti così, non servono a nulla. Parlano i numeri: sono aumentate le ore di cassa integrazione, si sono ridotti i volumi prodotti, ma cresciuti gli utili di Stellantis, senza una chiara prospettiva per l’Italia”. E ancora: “Senza una politica industriale per il Paese, le nostre filiere si fermano e i giovani, anche laureati, scappano perché pagati poco. Non siamo più disponibili ad assistere allo svuotamento e alla svalutazione dell'industria, ma anche dei servizi sottopagati”.
Il nodo dei rinnovi contrattuali
“Se nel primo trimestre i redditi reali in Italia sono aumentati più che in Francia e Germania, come dice l’Ocse, lo dobbiamo al rinnovo dei contratti nazionali che in alcuni casi erano fermi da anni”. Il segretario generale della Cgil rivendica il risultato: “Se c’è qualcuno che ha fatto il suo mestiere, siamo proprio noi”. Mentre “il governo non si intesti meriti. Perché non ha mosso un dito per incentivare il rinnovo dei contratti scaduti. Anzi, come datore, sta programmando un taglio delle retribuzioni, proponendo ai lavoratori pubblici un aumento del 5,7% contro un'inflazione del 17% tra 2021 e 2023. I referendum sul lavoro e contro l’autonomia vogliono contrastare la precarietà, unire il Paese e rafforzare i contratti nazionali di lavoro”.
Salario minimo, una legge necessaria
Il salario minimo “serve, assolutamente. Lo stiamo ponendo già come condizione nei contratti che rinnoviamo. Ma una legge è necessaria, in parallelo con l’altra legge sulla rappresentanza per dare validità universale a tutti i diritti sanciti nei contratti collettivi nazionali”. Secondo Landini, “il governo non può scegliersi le imprese e i sindacati con cui fare accordi. Spetta alle lavoratrici e ai lavoratori farlo. Su questo, serve un’operazione di democrazia vera”.
I conti non tornano
Tra un mese si entra nel tunnel della terza legge di bilancio del governo Meloni. Prima però c’è da fare il piano settennale per aggiustare i conti. “Non siamo disposti a un’altra manovra di tagli alla spesa sociale, a scuola e università, sanità, enti locali. Prendiamo i soldi dove ci sono – dice Landini –: rendite finanziarie e immobiliari, evasione, profitti ed extraprofitti. Regolarizzare tre milioni di lavoratori in nero significa ad esempio aumentare le entrate. Anche salari più alti alzano le entrate. Partiamo da qui, aboliamo i salari da fame”.
Una manovra a misura del lavoro
“Cinque milioni di italiani non si curano più. Se aumenti i contratti e poi ti paghi le visite mediche al privato, dopo qualche mese quell’aumento te lo sei mangiato”. Cosa chiede la Cgil? “Chiediamo di intervenire su sociale, sanità e istruzione pubblica. E di accelerare la spesa del Pnrr, ferma a 50 miliardi su quasi 200 a due anni dalla fine del Piano. Basta con flat tax, condoni, sanatorie e privatizzazione dello Stato sociale”.