È l’ultima frontiera per il sindacato. È un laboratorio sociale nel quale provare, lentamente, a diffondere diritti e consapevolezza. È il tentativo di alzare l’asticella un po’ più su per chi ha dedicato la sua vita a rappresentare i lavoratori e si trova adesso davanti a lavoratori che, nella maggior parte dei casi, non hanno alcuna idea di rappresentanza e diritti.

Succede in Piemonte, nel territorio di Settimo Torinese, nei capannoni di Amazon, ma sarà la nebbia all’alba o il freddo umido e pungente, che ogni tanto, a sentir parlare i sindacalisti, sembra di rivedere “Sorry, we missed you”, l’ultimo film di Ken Loach che racconta le peripezie di un corriere.

Di capannoni Amazon, sul territorio, ce ne sono due, ci dice Alfonsina D’Onofrio, responsabile della Camera del Lavoro di Settimo Torinese: “uno a Torrazza Piemonte, dove si raccoglie la merce e dove viene impacchettata, una sede di produzione. L’altro a Brandizzo, un sito di delivery, un centro di smistamento dove i pacchi vengono collocati all’interno di alcuni box e predisposti per le diverse rotte degli oltre 400 driver che orbitano intorno al magazzino. La stragrande maggioranza sono lavoratori in appalto, dipendenti di aziende di logistica e movimentazione merci”. Il nostro viaggio a ritroso parte da loro che sono l’ultima tappa della filiera del pacco.

“La logica è semplice – ci spiega Igor Piotto, della segreteria della Cgil torinese –. Hai una struttura che lavora per Amazon, obbligata da una digitalizzazione forzata che sceglie il percorso e definisce rotte e tempi. Quando un cliente acquista con Amazon, sul loro portale può tracciare il pacco. La spia è il cellulare consegnato ai driver, che segnala le tappe di avvicinamento. L’onnipotenza del grande committente è giustificata dall’aspetto reputazionale. Amazon decide la rotta perché è Amazon a promettere al cliente quel tempo di consegna. È Amazon a metterci la faccia, per così dire. Il capo diventa l’algoritmo, il cellulare in tasca al corriere è il mezzo attraverso cui l’algoritmo si esprime. È il tempista dei giorni nostri. E questo quadro ci dà il contesto. Del resto, se consideriamo la filiera produttiva di Amazon, l’aspetto caratterizzato da maggior incertezza è quello della consegna. Il resto è sotto controllo, al sicuro nello stabilimento. Sono le variabili esterne che riguardano la consegna, ad esempio il traffico, ad agire da potere vulnerante. Per questo, nel fare sindacato all’interno della galassia, è essenziale tenere insieme la filiera. I driver potrebbero essere, in potenza, l’anello sindacalmente forte della parte debole di Amazon, perché controllare i margini di incertezza diventa fondamentale”.

Mentre il sindacalista ci spiega la meccanica della logistica Amazon, gli citiamo le proteste dei driver di Vigonza, provincia di Padova, organizzate lo scorso 15 febbraio dalla Filt Cgil (leggi QUI). Nella denuncia di questo lavoratore e di Romeo Barutta, della segreteria della Filt Cgil Veneto, nel video qui sotto (a cura di Luigi Perissinotto, ufficio stampa Cgil Padova), tutte le criticità di questo lavoro, dei suoi ritmi, delle sue contraddizioni, del tentativo che Amazon agisce, in mille contesti come quello padovano, per dividere e creare competizione tra i colleghi. E le rivendicazioni del sindacato.

 

 

Quello dei driver resta, però, solo un anello, importante, di una lunga catena che inizia negli stabilimenti dove si impacchetta. Quanto è difficile per il sindacato penetrare in questa realtà? “Il tasso di sindacalizzazione è basso – ci risponde Igor Piotto – ed è inversamente proporzionale al grado di ricattabilità. La parte consistente di iscritti alla Filt Cgil è sui tempi indeterminati, i somministrati sono difficilmente intercettabili, la catena dei servizi, contratto multiservizi, sul lavoro di sorveglianza gode di una buona sindacalizzazione con quadri giovani. Qualche tessera la facciamo anche tra i driver. Siamo di fronte a un’organizzazione del lavoro molto aggressiva, mascherata da una visione di comunità. Il messaggio martellante che passa l’azienda è che i lavoratori non hanno bisogno del sindacato perché questa è una comunità. L’obiettivo di questo linguaggio è sostanzialmente quello di dare al lavoratore la sensazione di non essere un dipendente, ma una sorta di micro-impresa di sé stesso”.

Come si scioglie questa muraglia, anche comunicativa, costruita intorno ai lavoratori? “Intanto con la massa critica – ci spiega Igor Piotto –: mettendo insieme tutte le categorie coinvolte e tutti i contratti in ballo. Il nostro messaggio è quello dell’unità del mondo del lavoro, nella quale i lavoratori più forti trainano quelli più deboli. Costruiamo faticosamente la solidarietà come dimensione etica. Introduciamo categorie quali giusto o sbagliato, creiamo coscienza di classe”. Eccola la cassetta degli ideali del Novecento, tornare a sorpresa sul banco da lavoro del sindacalista, dopo che per vent’anni il mondo intorno ha storto il naso e ci ha spiegato quanto quei concetti fossero superati. Si riparte dall’ABC, unità dei lavoratori, giusto e sbagliato, coscienza di classe, categorie lontane dai giovani operai di oggi, che pure vivono condizioni di lavoro che, guarda il caso, sembrano quelle vissute nelle catene di montaggio novecentesche.

“Poi, certo, devi chiarire che il sindacato, attraverso la creazione di solidarietà, tutela gli interessi individuali. Perché qui ci troviamo di fronte a una composizione di classe molto particolare. In tantissimi sono giovani, senza memoria storica, politicamente e culturalmente sono lontani dalla costruzione di una coscienza collettiva. Questo è un piano in salita – ammette Igor Piotto –, ma ha un elemento di vantaggio: qui, come mai mi era successo, ho notato che non c’è alcun pregiudizio. C’è un sincero interesse e una disponibilità al confronto che spesso manca dove l’età media è più alta. Qui c’è sempre attenzione e non c’è mai ostilità. È un terreno fertile, calpestato da giovani rassegnati all’idea che non possono fare progetti. Il loro discorso è basico: se lavori, male, in un posto dove porti a casa 1400/1500 euro al mese, lo accetti, pensando che adesso hai questo, poi si vedrà. È una generazione a cui è stato sottratto il futuro, vive e massimizza il presente”.

È in un contesto di placida rassegnazione come questo che il messaggio del sindacato può diventare rivoluzionario. “La consapevolezza che si è lavoratori in generale, non solo dipendenti Amazon – ci spiega Alfonsina D’Onofrio –. Che come tali, attraverso lo strumento del contratto nazionale, si possono avere gli stessi diritti”.

C’è tanto da imparare. Per i lavoratori giovani, ma anche per il sindacato. ”Questo lavoro – ci racconta Igor Piotto – è un bel laboratorio anche di ridefinizione delle nostre coordinate culturali. Non c’è intergenerazionalità, di persone sopra i cinquant’anni forse ne ho vista una. La forza lavoro qui è una componente della società con le sue caratteristiche. E la nostra operazione diventa tradurre le loro cornici culturali, curvarle su una dimensione solidaristica e su un’azione collettiva”.

È una questione di pensiero e anche di linguaggio, riflette il sindacalista, riportandoci l’intervento di un addetto durante un’assemblea che sembra una didascalia della situazione in essere: “quando ero green (che nel gergo significa precario) facevo n pezzi al giorno, adesso che sono blu ne faccio di meno, non voglio tornare indietro. Ma se tu non vuoi tornare indietro – gli ha fatto notare Igor Piotto – il precario che ti ha sostituito dovrà continuare a lavorare di più. E così via. Chi si lamenta di fare sempre la notte e vorrebbe cambiare, dovrebbe considerare che al suo posto qualcun altro farebbe sempre la notte. Il messaggio è che conviene a tutti evitare che diventi una guerra tra gruppi”.

Durante un’assemblea il sindacato ha sottolineato il fatto che tutti gli addetti nello stabilimento viaggiano con uno zainetto trasparente: “se tu azienda chiedi a me trasparenza, io posso chiedere a te trasparenza, rispetto a temi quali investimenti, bilancio, profitti, salario. Il premio di risultato, ad esempio, va calibrato su criteri precisi, non è una elargizione. E mentre dicevo queste cose – ci racconta Igor Piotto – guardavo questi volti ed era come se parlassi di qualcosa che esisteva nello spazio dei desideri, non di elementi che noi trattiamo ogni giorno in migliaia di contrattazioni. Così mi sono reso conto che ero dentro a una palestra di riconfigurazione della nostra pratica. Si è innescato un meccanismo di rielaborazione, nel quale sono stati coinvolti i delegati delle varie categorie. Che hanno svolto un ruolo determinante. Perché il problema non è mai convocare un’assemblea, il problema è fare in modo che poi la gente venga. E su questo le rsa hanno svolto un ruolo di guida intellettuale, hanno agito da vera e propria avanguardia, interpretando i bisogni dei colleghi e provando a trascinarli, superando ostacoli quali la ricattabilità, la riluttanza, il timore di lasciare una strada per intraprendere un percorso di rivendicazione, in un periodo recessivo e di emergenza sanitaria”.

Una rivoluzione culturale, per lavoratori e sindacato, partita da lontano, nel 2019, con il grande lavoro dedicato dalla Cgil di Torino alla contrattazione inclusiva e il coordinamento dei delegati di Amazon, che non sarebbe stato possibile senza l'impegno delle tre categorie coinvolte, la Filt, la Filcams e il Nidil di Torino. Proprio il coordinamento ha dettato gli obiettivi. Alcuni prevedibili, quali i carichi di lavoro, altri più complessi: incidere sulla redistribuzione degli orari che in famiglia, spesso, fanno saltare la conciliazione tra vita e lavoro, contrattualizzare la sanità. Il tema principale resta l’organizzazione del lavoro e il salario integrativo, con la redistribuzione dei profitti, “ma questo, se ci riusciamo, sarà figlio del conflitto”.

E riuscirci è essenziale, perché, come sottolinea Alfonsina D’Onofrio, “per il territorio la presenza di Amazon e la creazione di lavoro è stata importante, sì, ma non ci pieghiamo al ricatto tra lavoro e diritti. Vogliamo che il lavoro resti un lavoro di qualità, e che dia prospettive al territorio e alle persone, non scappi via se la convenienza del gruppo dovesse spostarsi altrove. Questo è uno degli scopi del nostro lavoro su Amazon”.

“Un lavoro – ammette Igor Piotto con entusiasmo – che ci deve riportare alle nostre radici. Sul programma dell’Ordine Nuovo del 1920, Antonio Gramsci scrisse che il loro obiettivo non era costruire fredde architetture, ma rappresentare sentimenti e passioni della vita che gli raccontavano i lavoratori. Ecco, noi dobbiamo capire questi ragazzi. Solo allora avremo la chiave per agire e poi trasferire quell’esperienza in altri luoghi”.

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