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La crisi demografica in Italia avrà un impatto devastante sul mondo del lavoro, fino a causare una vera e propria scomparsa di milioni di lavoratori attivi: fra vent’anni il bacino dei potenziali lavoratori (15-64 anni) subirà una diminuzione pari a 6,8 milioni di persone. Al contrario la popolazione non in età da lavoro (under 15 e over 64) registrerà una robusta crescita: +3,8 milioni di individui. L’età media crescerà di quattro anni. Questa, in estrema sintesi, la sostanza dell'ultima ricerca della Fondazione Di Vittorio, un'indagine lunga e articolata che analizza le ripercussioni del declino demografico sul nostro mercato del lavoro.
Nel particolare, il rapporto evidenzia come gli squilibri demografici determinati da una bassa natalità e da un marcato invecchiamento della popolazione, aggravati dalle caratteristiche dei flussi in ingresso e uscita dall'Italia, incidano anche sul tasso di occupazione.
La diminuzione della popolazione è un fenomeno ormai consolidato, ricorda l'indagine. Entrando nello specifico dei numeri, le stime ventennali indicano infatti una riduzione della popolazione residente in Italia da 59 milioni del 2022 ai 56 milioni previsti nel 2042 (-3 milioni, ovvero -5%) e un aumento dell’età media da 46,2 anni a 50 anni. Dall’analisi delle variazioni per grandi fasce d’età, dunque, emerge una marcata riduzione della popolazione adulta che lavora, da 37,5 milioni del 2022 a 30,7 milioni del 2042. Inoltre, si registra un aumento della popolazione non in età lavorativa, da 21,5 milioni del 2022 a 25,3 milioni del 2042. Questo è il risultato di una consistente diminuzione del numero di giovani (-1,1 milioni, ossia -14,3%) e di una contestuale e robusta crescita degli anziani (+4,9 milioni, +34,6%).
Le persone in età da lavoro da febbraio 2020 a maggio 2022 sono calate di circa 600 mila unità. Gli occupati a febbraio 2020 erano 22,341 milioni, a maggio 2022 sono 22,293 milioni (circa -50 mila); il tasso di occupazione di febbraio 2020 era del 59%, quello di maggio 2022 del 59,8%. Quindi, con un numero simile di occupati, il tasso di occupazione è aumentato dello 0,8%.
A spiegare la situazione è il presidente della Fondazione Di Vittorio, Fulvio Fammoni: lo scenario, afferma, si determina perché “il calcolo del 2020 era effettuato su una platea di persone in età da lavoro di 37,9 milioni, mentre l’ultimo dato del 2022 è di 37,3 milioni (-606 mila). Se, per ipotesi, il tasso di occupazione di maggio 2022 fosse calcolato sulla stessa popolazione in età da lavoro di febbraio 2020, sarebbe più basso di circa un punto percentuale".
Nell'ottica dello studio, fa notare, "l’Italia si colloca nove punti al di sotto della media del tasso di occupazione europeo. Un’analisi – dunque - basata solo sul ritorno all’occupazione pre-Covid o sull’enfatizzazione del record relativo al tasso di occupazione non è realistica e può essere fuorviante. Così come la difficoltà nel trovare manodopera che alcune imprese sollevano, oltre che essere basata su salari e condizioni di lavoro che molte persone non accettano più, è in parte importante correlata anche a questo notevole calo di persone in età di lavoro". Per questo, a suo avviso, la lettura dovrà d’ora in poi essere correlata al numero totale di occupati, al tasso effettivo, ma anche al tasso calcolato al netto dell’effetto demografico che la Fondazione predisporrà con cadenza semestrale.
Cosa fare per fermare il declino demografico? Così risponde Fammoni: "Gli interventi devono contemporaneamente avere caratteristiche di immediatezza e di strutturalità. Se per gli interventi strutturali le politiche necessarie oggettivamente producono effetti sul lungo periodo, nell’immediato si può concretamente agire sul trend del calo demografico intervenendo sulle condizioni di lavoro, sulla precarietà, sui salari e sul regime di orari. Servono inoltre cambiamenti relativi alle politiche migratorie in entrata e in uscita, sia numericamente che dal punto di vista dei diritti delle persone".
A commentare l'indagine è poi la segretaria confederale Cgil, Tania Scacchetti. I dati "non sono semplici numeri, non indicano solo un calo demografico, ma una prospettiva inquietante per il futuro del nostro Paese. Di questo si dovrebbe discutere ora in campagna elettorale perché servono risposte immediate, ma soprattutto scelte strutturali. Vanno sicuramente individuate misure a sostegno della natalità, ma soprattutto - dice - va aperta una riflessione sui flussi in entrata e in uscita dal nostro Paese".
"Ai giovani che emigrano, per lo più formati e competenti - sottolinea Scacchetti - vanno offerte le prospettive di un lavoro dignitoso e di qualità che risponda alle loro competenze, un salario adeguato, un sistema di welfare che li protegga e li sostenga. Contemporaneamente occorre rivedere le politiche migratorie, costruire canali di ingresso per ricerca di lavoro regolari e stabili, attraendo e investendo sulle politiche migratorie come fattore di riequilibrio e di risposta strutturale ai cambiamenti demografici”.
Inoltre è necessario investire su politiche di rimodulazione e riduzione degli orari di lavoro e sulla formazione, secondo la segretaria: "Una popolazione lavorativa che invecchia rischia di essere spiazzata dalle trasformazioni tecnologiche e digitali - conclude -, producendo il paradossale effetto di avere alti tassi di disoccupazione e di inattività in un mercato del lavoro incapace di rispondere alla nuova domanda che si genera".