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La Corte costituzionale, a seguito dei ricorsi di Toscana, Campania, Puglia e Sardegna, ha bocciato sette profili normativi della legge sull’autonomia differenziata. Profili sostanziali secondo Gaetano Azzariti, docente di Diritto costituzionale all’Università La Sapienza di Roma, cadendo i quali muta la filosofia della legge.
Il sistema Calderoli, non solo quella norma, non sta in piedi costituzionalmente. Un successo del “popolo del referendum” che bene ha fatto a battersi contro quella norma. “Ora spetta a noi - afferma lo studioso - passare da un regionalismo competitivo e di natura appropriativa a uno improntato al regionalismo solidale e all’equilibrio tra poteri, contrastando chi volesse ostinarsi a rimanere ancorato a un sistema che si è pensato sin dall’inizio fuori dai principi espressi dalla Costituzione”.
La Corte ha eccepito la costituzionalità di sette punti della legge Calderoli. Uno di questi riguarda l’assegnazione delle 23 materie: la Corte dice non è possibile devolverle interamente, per di più senza specificarne le ragioni.
La Corte non solo ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di ben sette profili della legge, ma ha riscritto sostanzialmente l’intera filosofia, la ratio su cui s’è edificato l’edificio dell’autonomia differenziata. La legge così com’è stata approvata dal Parlamento non c'è più. Qualcuno nella maggioranza sembra si voglia consolare rilevando che non è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’intera normativa, minimizzando l’impatto sulla legge, ma in realtà essa è stata colpita al cuore.
Forse bisognerebbe fermarsi e avviare una generale riflessione…
Esatto. Bisognerebbe ora ripensare nel profondo quale diversa strada è necessario imboccare. In questa chiave sono preoccupanti le affermazioni di questi giorni che esprimono l’intenzione di proseguire, quasi come se nulla fosse cambiato: il ministro Calderoli ha persino ringraziato i giudici per le ‘indicazioni’ fornite, per poi confermare l’iter legislativo attualmente in corso. Personalmente, invece, ritengo che tutti dovrebbero fare ora un esame di coscienza, persino l’opposizione.
Ci spieghi meglio…
È noto, infatti, che la vicenda risale almeno al 2018, quando furono sottoscritte quelle sciagurate bozze di intesa da parte del Governo Gentiloni. Fu allora che si aprì una prospettiva che lasciava intravedere la possibilità di ‘assegnare tutto il potere’ non al popolo, ma ai presidenti di Regione. Fu allora che il Veneto chiese tutte le 23 materie che sono indicate all’articolo 116, terzo comma della Costituzione, senza alcuna motivazione specifica. Una richiesta ritenuta possibile e che rispecchiava l’idea di fondo dell’autonomia differenziata, declinata in una chiave essenzialmente appropriativa di nuove funzioni, poteri, materie da parte delle Regioni, disinteressandosi del resto, come della solidarietà con le altre Regioni o degli equilibri complessivi della forma di Stato.
E cosa cambia con il pronunciamento della Corte?
A seguito di questa decisione, tutto ciò non si può più fare: la Corte costituzionale ha stabilito molto chiaramente che trasferire intere materie non è possibile. Si possono trasferire solo singole funzioni, e tale trasferimento deve essere giustificato in base al principio di sussidiarietà. Com’è richiamato nella prima parte del comunicato della Corte, la lettera dell’articolo 116 terzo comma deve essere inserita nel suo contesto sistematico, e non può prescindere dalle garanzie fornite dalla nostra forma di Stato e dai principi fondamentali della Repubblica.
E dunque?
Si devono sempre rispettare i principi di solidarietà, eguaglianza, garanzia dei diritti, unità della Repubblica. Stiamo parlando degli articoli 2, 3, 5 della Costituzione. Un sistema politico consapevole e rispettoso della superiore legalità costituzionale, quale che sia il suo orientamento politico, dovrebbe prendere atto, azzerare tutto e ricominciare da capo in modo ‘costituzionalmente orientato’.
Un altro rilievo della Corte riguarda i Livelli essenziali di prestazione (Lep). Anche in questo caso si torna ai capisaldi della Costituzione, ai diritti che per essere assicurati si avvalgono dei servizi dello stato sociale.
Stiamo parlando di un assetto di distribuzione territoriale dei servizi che coinvolgono i diritti fondamentali e come tali devono essere garantiti a tutti e su tutto il territorio nazionale, non possono dipendere da accordi liberamente definiti dal governo e le singole Regioni. Questo è la seconda scossa che è contenuta nel comunicato della Corte. Non è solo la legge 86 del 2024 che è sottoposta al giudizio di legittimità e ora destrutturata, ma è l’intero ‘sistema’ perseguito dall’attuale maggioranza sin dalla prima legge (la 197 del 2022, la finanziaria del 2023, che ha impostato il meccanismo procedurale dell’autonomia differenziata) che non ha mai voluto prendere sul serio in considerazione i diritti da garantire, concentrandosi solo sulle materie e i conseguenti poteri da trasferire alle regioni più ricche, in ragione della presunta loro maggiore efficienza.
La stessa discussione sui Lep, infatti, ha risentito di questa impostazione.
Esattamente: non importa assicurarli (la legge 86 rivendica una sua invarianza finanziaria) ma basta individuarli, rinviando a una Commissione tecnica e al futuro la definizione dei criteri e il reperimento delle risorse. La Corte azzera questo ragionamento, ricordando che non si tratta di trasferire materie ma, appunto, garantire diritti. È per questo che occorre rispettare la forma di Stato e le regole costituzionali.
E poi c’è sempre il Parlamento…
La Corte, infatti, afferma anche che non può il governo determinare la tutela o effettuare trasferimenti di diritti (e non di indistinte funzioni/materie) con atti propri, come sono i Dpcm. C’è bisogno sempre dell’intervento del Parlamento, che deve almeno definire i princìpi e i criteri direttivi con deleghe specifiche e non generiche. Non siamo di fronte a misure d’ordine tecnico o dinanzi ad atti di natura esclusivamente organizzativa, stiamo – lo ripeto – parlando di diritti fondamentali delle persone, ovunque residenti.
Ma allora che fine fa la Commissione Cassese?
La Commissione nasce dall’idea che la questione dei Lep si possa ridurre a un rilevamento specialistico che può essere definito da esperti. La Corte ricorda invece che definire, per poi assicurare i Lep concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti sull’intero territorio nazionale, non è una questione puramente tecnica da affidare a una commissione di saggi, ma sono temi e decisioni essenzialmente politiche di competenza del Parlamento. In fondo basta richiamare l’ultima polemica che ha riguardato i lavori della Commissione sui Lep, quella sui criteri per definire i fabbisogni essenziali, ovvero le risorse, calcolati anche in base alle differenze territoriali, il costo della vita e la densità della popolazione. Mi sembra evidente che si tratti di scelte di criteri di natura essenzialmente politica che, quindi, dovrebbero spettare al Parlamento. Credo importante aggiungere che, essendo lo stesso Parlamento soggetto alla Costituzione, probabilmente nemmeno il Parlamento, potrebbe sancire discriminazioni territoriali di questo tipo.
Un altro aspetto che meriterebbe di essere chiarito è se ha senso, dopo la decisione della Corte, continuare con la distinzione tra materie Lep e non Lep.
Il comunicato della Corte dice che non si possono devolvere intere materie, per di più senza motivare il perché dello spostamento, ma si tratta di prendere in considerazione il trasferimento di funzioni che coinvolgono diritti che devono essere garantiti in base ai principi propri della nostra forma di Stato. Ora, il giorno prima dell’udienza alla Corte il governo si è riunito con Piemonte, Veneto e Lombardia per iniziare la cessione delle materie non Lep, dalla Protezione civile al commercio con l’estero. Adesso, a mio parere, tutto questo si deve fermare: la Consulta ci ha ricordato che si trasferiscono ‘diritti’ e non ‘materie’, e tutto ciò non può avvenire con una decisione che escluda il Parlamento.
Ma il ministro Calderoli dice di voler andare avanti comunque.
Come minimo, prima di riprendere ogni trattativa è necessario attendere la sentenza. L’affermazione del ministro secondo cui si può andare avanti a legislazione vigente mi appare avventata, oltre che poco rispettosa della decisione della Consulta. Il comunicato esclude che si possa continuare a estromettere il Parlamento, e si conclude con una chiara indicazione: spetta al Parlamento assicurare la piena funzionalità della legge. Al Parlamento, non al governo.
Il comunicato della Consulta dice che nulla si potrà fare senza un voto di Camera e Senato. Sottolineare la centralità del Parlamento è molto rilevante, non solo rispetto all’autonomia differenziata, ma pone il tema del riequilibrio tra potere esecutivo e potere legislativo.
Questa sentenza ha anzitutto una finalità di natura ‘sistematica’, nel senso che vuole rimettere in ordine le idee molto confuse e approssimative sulla cosiddetta autonomia differenziata, per indirizzarla in un verso, se non opposto, certamente diverso da quello che è stato sin qui perseguito. Ma forse la sentenza ha anche un’ambizione in più, quella di ridefinire gli equilibri complessivi tra i poteri della nostra forma di Stato.
Ridefinire in quale direzione?
Abbiamo visto che pone il tema del riequilibrio nei complessivi rapporti tra Stato e Regioni, indicando la strada di un regionalismo ancorato ai princìpi di unità della Repubblica, solidarietà tra le Regioni, eguaglianza e garanzia dei diritti dei cittadini, equilibrio di bilancio. Ma alcuni passaggi significativi del comunicato fanno riferimento anche al ruolo del Parlamento, evidenziando lo squilibrio molto forte - noto a tutti noi da tempo - che sussiste tra governo e Parlamento, e che ha portato a una sostanziale emarginazione dell’organo della rappresentanza politica, fino a privarlo di un suo solido ruolo costituzionale.
Da tempo, infatti, si parla di una funzione legislativa privata di ogni autonomia rispetto al governo.
Nel nostro caso la Corte rileva come non si possa pensare il Parlamento come a un organo di mera ratifica, che si limita a ‘prendere o lasciare’ quanto definito dal governo. S’impone la logica parlamentare e si afferma che esso potrà intervenire, discutere ed emendare le intese in sede di approvazione. Al governo si deve ricordare che non è un potere assoluto, che non è l'unico potere dello Stato, che deve rispettare gli altri poteri: il Parlamento anzitutto, ma – mi si lasci aggiungere – anche tutti gli altri, a iniziare dalla magistratura. Ancor più, la questione del riequilibrio potrebbe anche essere intesa come la necessità che il governo faccia una riflessione sull’eccesso di concentrazione del potere che riguarda non solo l'autonomia, ma anche, perché no, il premierato, che in fondo è parte della stessa logica.
Che fine farà il referendum sull’autonomia differenziata?
Il popolo del referendum, ovvero il milione e 300 mila sottoscrittori, non può che gioire di fronte a questa sentenza. Sotto il profilo della legittimità costituzionale si è dimostrato che esisteva la necessità di ribellarsi, di opporsi a una legge che, oggi lo sappiamo, è in gran parte incostituzionale. Per ciò che riguarda il referendum la questione è piuttosto semplice: è competenza dell'Ufficio centrale presso la Corte di Cassazione stabilire la legittimità della richiesta referendaria e, dunque, anche la sua permanenza. Per poter decidere è necessario conoscere qual è la normativa su cui si chiede di votare perché, questo è il fatto nuovo, la norma oggetto del referendum è cambiata. Non si può dunque fare altro che aspettare la sentenza della Corte costituzionale per sapere qual è la norma residua e valutare se l’oggetto del quesito referendario sia stato assorbito o meno.
Ma qual è la sua impressione?
Non essendo stata dichiarata l’illegittimità dell'intera legge è chiaro che qualcosa rimane: se resta una parte importante, la Cassazione potrebbe confermare la richiesta di abrogazione totale della legge, ovviamente per la parte che rimane vigente. Se la Cassazione si esprimerà sulla legittimità del referendum spetterà poi alla Corte costituzionale esprimersi sull'ammissibilità del quesito. Dunque, prima di esprimere certezze sulla sorte del referendum (costume piuttosto in uso tra i commentatori), aspettiamo di leggere la sentenza che, in ogni caso, dichiarando l’illegittimità della legge Calderoli in sette punti centrali ha cambiato la prospettiva, riaffermando i princìpi fondamentali della nostra forma di Stato. C’è di che esser soddisfatti.
In conclusione: cosa dovremmo fare?
Ora spetta a noi passare da un regionalismo competitivo e di natura appropriativa a uno improntato al regionalismo solidale e all’equilibrio tra poteri, contrastando chi si volesse ostinarsi a rimanere ancorato a un sistema che si è pensato sin dall’inizio fuori dai principi espressi dalla costituzione. La Corte continuerà a vigilare, come scrive nel comunicato, ‘resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione, qualora venissero censurate con ricorso in via principale da altre Regioni o in via incidentale’. Ma spetta a noi, ai nostri rappresentanti neghittosi, passare a un’altra idea di regionalismo. In nome della Costituzione, come ci ha detto il suo garante.