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Nella Repubblica affondata sul lavoro, leggere che più di 1.600.000 connazionali hanno cambiato impiego nell’ultimo annus horribilis desta sorpresa e un po’ di ammirazione. E io, illuso, a pensare che una busta paga, seppur misera, è per sempre. Così parte il film, immaginando il rider che decide di scendere dalla sella e mettere su un ristorantino a chilometro zero. O il raccoglitore di pomodori stufo di chinarsi h24 reinventarsi fisioterapista per curare i mal di schiena altrui. Oppure l’operatrice scolastica, stanca del pendolarismo troppo esoso, aprire un’agenzia immobiliare dove vendere bufale ma anche solide realtà. O il boss annoiato per la latitanza trentennale diventare influencer, specializzato in selfie sanitari. Fosse così semplice, ma la realtà è ben diversa. E adesso ci si mette anche il governo a rendere strutturale la precarietà. Chiosa il saggio: ormai sul posto di lavoro serve così tanta flessibilità che assumono solo maestri di yoga.