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Lucia Mitello è un’infermiera, orgogliosa di esserlo e molto legata alla propria professione: professione e non lavoro. Essere infermiera, per lei e non solo, vuol dire svolgere, appunto, una professione, con un titolo di laurea universitario, ed essere pienamente in grado di assumere responsabilità di scelta e di cura. Anche se tutto questo spesso non viene adeguatamente riconosciuto.
Nel tempo ha continuato a studiare, ha conseguito lauree e master: tra i suoi maestri il padre della legge 833 che nel 1978 istituì il Servizio sanitario nazionale pubblico e universale, Giovanni Berlinguer. Oggi è la direttrice del dipartimento delle professioni sanitarie di uno degli ospedali, rigorosamente pubblico, più grandi del Centro-Sud, il San Camillo-Forlanini di Roma. In questo ruolo ha trascorso in prima linea i mesi più duri, a volte disperanti, della pandemia e oggi riflette sul "malato" sanità pubblica.
Le cause della malattia
Quando si parla dei professionisti della salute, spesso si pensa a medici maschi, anche se in realtà in maggioranza sono donne. Certo i medici sono indispensabili, ma lo sono anche le altre professione sanitarie, a partire da quella infermieristica, cui va garantito di poter esprimersi al massimo del loro potenziale, sviluppando una collaborazione multidisciplinare per soddisfare al meglio i bisogni di salute dei cittadini.
Dice Mitello: “In Italia, tuttavia, diversamente da altri paesi, siamo percepiti come un corollario. Purtroppo, dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro e delle norme, questa percezione, sbagliata, viene confermata e rafforzata”. Eppure, ormai dagli anni Novanta del secolo scorso, la formazione infermieristica è diventata universitaria e sia di primo che di secondo livello, così come per le altre professioni sanitarie, dal tecnico di radiologia all’ostetrica, dal fisioterapista allo psicologo, solo per citarne alcune.
“Se il modello di sanità pubblica, tuttavia, rimane concentrato da un lato sul personale medico e dall’altro sull’ospedale, la risposta ai bisogni di salute intesa non solo come cura della malattia, ma come costruzione del benessere dei singoli e della popolazione, rimane quasi irrealizzabile”, aggiunge la dirigente.
Le scelte degli ultimi 20 anni
Pubblico e universale, erano le colonne del sistema; prevenzione, cura e riabilitazione le gambe e le braccia su cui si fondava la legge del 1978. I consultori materno-infantili, ad esempio, erano i luoghi diffusi sul territorio che accompagnavano la vita della donna dalla pubertà alla menopausa. Qui si trovava l’ostetrica, l’infermiera, il/la ginecologo, il/la pediatra, e si veniva accompagnate nella scelta di maternità o di interruzione di gravidanza. Infermiere e ostetriche con un ruolo centrale nel rapporto con le donne.
Anni e anni di tagli hanno in gran parte spazzato via tutto questo. Le riduzioni del personale e il mancato turn-over hanno fatto sì che in Italia, secondo l’Ocse, rispetto alla media europea manchino due infermieri ogni mille abitanti. Tradotto significa che ne servirebbero ad oggi circa 120 mila. Tale carenza ha serie ricadute sulla salute e sulla vita delle persone e richiede fin da subito forti investimenti a livello regionale e nazionale.
Infermiere cercasi
Servono ma non si trovano. Chiosa Mitello: “La situazione è grave oggi e lo sarà sempre più. Nonostante il tetto di spesa per il personale, alcuni concorsi sono stati banditi ma non sono stati trovati tutti gli infermieri necessari. E in futuro andrà ancora peggio. I ragazzi e le ragazze non si iscrivono ai corsi di laurea in infermieristica. La verità è che la nostra non è più una professione appetibile e attrattiva. Si lavora moltissimo, si guadagna poco, non esiste progressione di carriera e la professionalità è assai scarsamente riconosciuta”.
Lo stipendio medio è di 1500-1700 euro al mese, turni di notte, domeniche e festivi compresi. Si pensi che in Svizzera o nei Paesi del Nord Europa un infermiere guadagna oltre 5 mila euro al mese: “E la cosa che più pesa è che questo è lo stipendio dall’assunzione alla pensione”, nota amaramente la dirigente
La scommessa del Pnrr rischia di naufragare
Per tornare allo spirito e alle promesse della nascita del Ssn la sanità di territorio è indispensabile. Il piano della Missione 6 del Pnrr per Mitello va nella giusta direzione. Case e ospedali di comunità sono la chiave, così come il prendersi carico per davvero della cronicità di anziani e non solo. Ma perché quel piano possa davvero funzionare servono i professionisti della sanità e responsabilità condivise tra le diverse figure. Fermo restando le funzioni dei medici.
“Gli ospedali di comunità – argomenta la dirigente del San Camillo –, dovranno essere affidati prevalentemente a infermieri, così come la presenza dell’infermiere di famiglia e di comunità rappresenterà il raccordo tra ospedale e territorio e tra i diversi professionisti. Il problema però è che non esiste un piano di assunzioni, e in ogni caso il personale non si trova”.
Come curare il malato
Formazione, regolamentazione e contrattazione sono le “medicine” per curare e dare nuovo slancio al Ssn. Spiega infatti Mitello: “Per rilanciare davvero il Sistema sanitario nazionale, pubblico e universale, occorre rafforzare e trasformare la capacità e la qualità della formazione, a partire dal numero dei docenti delle professioni sanitarie. Un aspetto essenziale per garantire che le funzioni infermieristiche siano ottimizzate per soddisfare le esigenze di salute della popolazione".
Inoltre, "appare sempre più necessario rendere più visibile la componente autonoma e sviluppare l’attrattività della formazione infermieristica, anche attraverso percorsi di agevolazione delle tasse universitarie e l'incremento dei percorsi di formazione post-base e di inserimento lavorativo. Serve poi una differenziazione nei livelli di abilitazione professionale rispetto alle competenze specialistiche avanzate, e poi una regolamentazione delle funzioni e le responsabilità in relazione con le competenze acquisite e certificate".
Infine, conclude Mitello, serve "la contrattazione: indispensabile per il riconoscimento di percorsi di carriera e del giusto riscontro economico, con indennità specifiche per funzioni. Questa è la strada non solo per rendere di nuovo accattivane la professione, ma anche per garantire una visione olistica della cura assicurando così le giuste risposte ai bisogni di salute”.
La strada imboccata va in altra direzione
Insomma, quel che occorre è davvero un salto culturale: la salute non come assenza di malattia ma come benessere della persona e delle comunità, l’organizzazione della cura a misura di cittadino e cittadina e il riconoscimento e la valorizzazione delle diverse professioni sanitarie a partire da quelle infermieristiche. Per realizzare tutto ciò serve un grande investimento, economico e non solo, in grado di valorizzare saperi e passioni. Nella legge di bilancio e nel recente provvedimento volto a dare prossima attuazione al regionalismo differenziato di tutto questo non c'è traccia, anzi la strada tracciata è quella dell’ulteriore riduzione delle risorse per il Ssn.