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Agosto, tempo di bilanci, anche per la salute e la sicurezza, l’impatto del Covid nei luoghi di lavoro e l’attività dell’Inca, il patronato della Cgil, che nel sostegno e nella consulenza ai lavoratori sul fronte del contagio ha dedicato tutte le sue energie.
Gli ultimi dati, resi noti nel 18esimo report della Consulenza statistico attuariale dell’Inail, sono stati pubblicati lo scorso 23 luglio e danno un’idea di quanto, anche in ambito lavorativo, sia stato forte il peso della pandemia. “I decessi per contagio da Covid-19 sul lavoro da inizio pandemia – si legge sul documento – sono 682, concentrati soprattutto nel trimestre marzo-maggio 2020 (51,7%) e pari a circa un terzo del totale degli infortuni sul lavoro con esito mortale denunciati all'Inail da gennaio 2020, con un'incidenza dello 0,5% rispetto al complesso dei deceduti nazionali da Covid-19 comunicati dall'Iss alla data del 30 giugno. Rispetto ai 639 casi mortali rilevati dal monitoraggio dello scorso 31 maggio, i decessi sono 43 in più, di cui tre avvenuti a giugno, sette a maggio, otto ad aprile, 10 a marzo, quattro a febbraio e due a gennaio di quest'anno, mentre gli altri nove sono riconducibili ai mesi precedenti. A morire sono soprattutto gli uomini (83,7%)”.
Ne abbiamo parlato con Silvino Candeloro del Collegio di presidenza dell’Inca. Dalle sue parole è emerso il racconto di questi mesi in cui il patronato ha saputo gestire tutte le novità e assistere le tante persone che si sono rivolte ai suoi uffici.
Qual è la priorità per voi adesso?
Tutto il nostro impegno è teso soprattutto a favorire l’emersione dei casi, attraverso la denuncia all’Inail degli infortuni da Covid. Invitiamo tutti a rivolgersi al patronato per la denuncia e la tutela, perché sappiamo che molti lavoratori continuano a restare a casa in malattia denunciare l’infortunio. Questo succede anche perché molti datori di lavoro continuano a considerare il Covid come malattia comune e non infortunio.
Voi come state implementando la vostra azione?
Noi continuiamo a sviluppare la nostra iniziativa e attività nel rapporto con le categorie e i luoghi di lavoro. Il consiglio e l’informazione che deve passare è sempre la stessa: il Covid è un infortunio e come tale va denunciato all’Inail. Il datore di lavoro sarebbe tenuto a denunciare, ma spesso non lo fa. Questo è successo spesso, ad esempio, in ambito scolastico, dove in più occasioni il Covid non è stato denunciato all’Inail dalle strutture.
Quali sono i dati della vostra attività?
Per quanto riguarda le denunce da infortunio abbiamo avuto una crescita molto significativa già nel 2020. Quest’anno siamo intorno a 1783 pratiche, il doppio che nello stesso periodo, se pensiamo che lo scorso anno tra gennaio e giugno furono circa mille.
Con quale esito?
Abbiamo un rapporto molto critico con l’Inail nonostante i nostri uffici siano rimasti aperti al pubblico o comunque a disposizione anche durante i periodi di lockdown. Pensate che delle 1783 pratiche lavorate, a giugno 2021 l’Inail ce ne ha riconosciute meno di un terzo. L’argomento con cui ce le respinge è spesso lo stesso: non dimostriamo il nesso di causa tra la malattia e il lavoro. Ma l’onere della prova, come sempre ha scritto l’istituto nelle sue circolari, sarebbe a carico loro. L’Inail deve dimostrare il nesso di causa tra malattia e attività professionale. Mentre a noi non risulta nessun riscontro, nelle respinte, del fatto che abbiano vagliato i vari criteri per giudicare. C’è scritto solo che manca il nesso di causa. Così ci impediscono i ricorsi. Questo è grave. Queste cose accadono all’interno dei singoli territori. Ci sono territori che rispondono correttamente alle richieste di riconoscimento, territori che non rispondono a prescindere dai parametri. Quindi dobbiamo capire se l’Inail si farà carico di questo problema. Una questione molto delicata e molto seria. Il problema è che ci stanno respingendo – questa è una cosa difficile da poter accettare – anche casi dove c’era la presunzione semplice. Persino casi gravi in cui c’è stato il decesso di un sanitario o di un operatore scolastico. Abbiamo aperto la pratica di un operatore scolastico di Napoli che ha lavorato fino all’11 marzo del 2020 e sul lavoro si è trovato in contatto con persone che si erano recate in reparti ospedalieri da codice rosso. La vittima andava al lavoro in macchina, viveva da sola con la moglie. Eppure anche in questo caso manca tutta una parte di valutazione Inail. Noi ci torneremo e sappiamo di dover continuare la nostra battaglia.
Quando si esce dall’incubo del Covid?
Difficile dirlo. Noi ci stiamo apprestando ad affrontare anche la questione dei postumi che riguardano la malattia. Man mano che i giorni passano e che la scienza è in gradi di valutare meglio gli effetti, anche su più organi, abbiamo bisogno di chiarire modalità, criteri, parametri. Noi abbiamo i casi anche di persone giovani che affrontano problemi respiratori, psicologici, cardiologici, di scarsa concentrazione. Soprattutto per chi ha vissuto situazioni molto delicate come la lunga degenza o la terapia intensiva. La media, tra i contagiati da Covid, è tra 40 e 60 giorni, molto più alta degli infortuni non gravi.
Quali sono le vostre migliori armi?
L’informazione, certamente. Ha funzionato anche quella del sindacato. E ripetere a tutti, il più possibile, che con il Covid si deve pensare subito a infortunio e non a malattia comune, e sappiamo quanto cambia il livello della tutela dell’uno rispetto all’altra.