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L'allarme lo lancia Silvino Candeloro, del collegio di presidenza del patronato della Cgil: "In alcune realtà fino al 30-40% delle domande di riconoscimento da infortunio da Covid vengono respinte dall'Inail, un dato che ci preoccupa molto. Una prima causa di rigetto, spiega intervistato da Adnkronos, è la mancata denuncia da parte del datore di lavoro". "Una cosa inaccettabile - avverte - perché è l'Inail che deve rivolgersi al datore di lavoro e chiedere la denuncia. Se c'è un certificato del medico che dice che la persona ha avuto il Covid, il datore di lavoro deve presentare la denuncia". C'è poi un altro motivo: "la mancanza di nesso di causa, per l'Inail il Covid sarebbe un rischio generico come una comune malattia. Per noi, non è così. Chi deve dimostrare che manca il nesso di causa è l'Inail". Invece respinge le domande.
"Sono oltre 154.000 le denunce da infortunio da Covid sul lavoro (delle quali circa il 68% riguarda il personale sanitario) presentate all'Inail. Ma sicuramente dei circa 1 milione di certificati di malattia comune presentati, una parte consistente andrebbe aggiornata e trasformata da malattia a infortunio" aggiunge Candeloro "molti lavoratori hanno inviato un certificato di malattia ma la diagnosi di Covid è arrivata dopo". Stabilire se si tratta di malattia o infortunio è invece importante perché "le due fattispecie hanno retribuzioni e trattamenti diversi". "C'è una convenzione tra Inps e Inail che dovrebbe trasformare automaticamente questi certificati, ma è difficile perché bisogna accertare se il lavoratore si sia contagiato in occasione di lavoro. So che se ne sta parlando e noi come Patronato siamo a disposizione per cercare una soluzione".