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La Abb è una multinazionale svizzera produce manufatti per utenti di utility, dai produttori di energia a quelli dell’acqua. In Italia ha diversi insediamenti, alcuni del settore meccanico. L’impianto di Marostica produce componenti in gomma e plastica per la produzione di energia. Uno dei pochi settori che durante la pandemia non ha registrato crisi. Bene, si dirà. E invece male, perché l’appetito vien mangiando e allora fatturato in aumento e ordini cospicui hanno fatto pensare che si può fare di più. La soluzione più facile, han pensato al di là delle Alpi, è delocalizzare dove il costo del lavoro è assai più basso. Detto fatto: a ottobre l’azienda ha comunicato alle organizzazioni sindacali l’intenzione di chiudere entro il 2021 e licenziare i 60 dipendenti.
“È una vertenza paradossale, afferma Laura Scalzo segretaria Filctem di Vicenza, si vuole chiudere una azienda che sta bene e cresce, mentre nel territorio ce ne sono tante altre che soffrono a causa del coronavirus. Con lo sbocco dei licenziamenti avremo una crescita della disoccupazione, non possiamo certo aggiungerci anche i lavoratori di aziende in salute”.
A perdere il lavoro non sarebbero – come invece afferma Abb – solo i 60 dipendenti diretti, ma anche quelli in appalto: 13 della logistica, 3 della mensa e delle pulizie, e quelli in somministrazione, sono una ventina e – anche in questo caso – paradossalmente in crescita. Eh già, perché per riuscire a far fronte agli ordini e a costituire il magazzino che nella fase di fermo produttivo per il trasferimento servirà ad ottemperare agli impegni contrattuali con i clienti, la fabbrica funziona a pieno regime, anzi servono straordinari e manodopera in più. Tanto che nella proposta presentata ai sindacati l’incentivo all’esodo per i lavoratori in via di licenziamento è vincolato all’impegno di continuare a lavorare fino al giorno della chiusura della fabbrica. Se non fosse vero sarebbe da inventare.
Il sito in provincia di Vincenza in realtà qualche problema, eredità del passato, ce l’ha. Nel 2018 venne fatta una ristrutturazione che le organizzazioni sindacali riuscirono a gestire con prepensionamenti, risultato andarono a casa in venti e l’azienda perse le professionalità migliori mai rimpiazzate. Oggi il management funziona non bene, tanto che non riesce a pianificare l’arrivo della componentistica dall’Olanda con la consegna dei prodotti finiti ai clienti. Risultato capita che i macchinari si fermino in attesa della materia prima. “Ma tutto questo, affermano i lavoratori in una lettera inviata al Ceo Svizzero Rosengreen, non può e non deve ricadere sulle nostre spalle”.
E su quelle dei contribuenti italiani. Negli ultimi tre anni l’Abb di Marostica ha ricevuto due milioni e 300 mila euro di bandi per industria sostenibili che dovevano servire a finanziare progetti “per favorire un modello industriale volto alla crescita occupazionale, green e innovativa”, ed è stata assoggettata ad una tassazione agevolata, la “patent box” che ha lo scopo di rendere il mercato italiano attrattivo per gli investimenti in innovazione. Non solo, per gli ultimi tre anni ha lavorato per Enel e per Terna con commesse consistenti.
Lo scorso 13 gennaio i lavoratori si sono trovati in presidio con i sindaci e alle istituzioni della zona, insieme hanno sottoscritto un documento inviato all’ormai ex presidente del Consiglio Conte, al ministro dello Sviluppo economico Patuanelli, al presidente del Veneto Zaia per chiedere che l’azienda non venga chiusa. Laura Scalzo aggiunge: “La mobilitazione non si ferma, chiediamo di essere ricevuti al Mise. È importante che il governo intervenga per chiamare ad un tavolo di confronto vero l’azienda. E pensiamo che occorra anche intervenire per via legislativa per rendere meno facile alle multinazionali di delocalizzare che l’attuale sistema consente”.
La dirigente sindacale aggiunge una riflessione: “L’Abb Marostica produce sostanzialmente per l’Italia e dovrà continuare farlo, ci sono contratti in essere, ed allora delocalizza in Bulgaria per poi portare i prodotti attraversando mezza Europa in Italia senza considerare costi di trasporto e sostenibilità ambientale . La plastica persa poco, e come se si trasportasse aria, più lontano è il sito più i costi di trasporto aumentano, più lontano è il sito più si inquina. E tutto questo perché in quei Paesi il costo del lavoro è più basso, ci sono meno tutele e non c’è l’organizzazione sindacale. Ma ne vale la pena?”.