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Il primo contratto collettivo, entrato in vigore il 3 dicembre 1906 e siglato dalla Società automobilistica Itala e dalla Fiom, sancisce il riconoscimento dei minimi salariali, delle 10 ore giornaliere su 6 giorni settimanali, della clausola del closed shop per l’assunzione dei lavoratori iscritti al sindacato, che funge da ufficio di collocamento.
Proprio in questo accordo si trova usato, probabilmente per la prima volta, il termine ‘Commissione interna’.
“Tutte le controversie e tutti i conflitti di qualsiasi natura, nascenti dalla interpretazione e dalla applicazione del presente contratto come dai regolamenti allegati, sia fra operai e Ditta, nonché le possibili divergenze riguardanti gli eventuali aumenti di salario ai singoli operai - si legge nel testo dell’accordo - saranno risoluti d’accordo fra la Commissione interna e la Direzione. La Commissione interna sarà nominata di cinque operai della fabbrica. Essa delega a rappresentarla uno dei suoi membri per le piccole divergenze. Tale Commissione durerà in carica fino alla scadenza del presente contratto. In caso di disaccordo, giudicheranno i delegati della Federazione Metallurgica e uno o più delegati del Consiglio d’Amministrazione della Ditta. Perdurando il disaccordo, la questione sarà risoluta dal Collegio arbitrale.
Tale Collegio che durerà per tutto il contratto, è composto di due rappresentanti della Federazione Metallurgica, di due rappresentanti della Ditta e del signor Avvocato Senatore Secondo Frola, che funge da Presidente. Il Collegio arbitrale giudicherà senza spese né formalità di sorta, con lodo inappellabile. In nessun caso durante le trattative per derimere le controversie si potrà addivenire ad una sospensione totale o parziale di lavoro”.
Gli embrioni delle Commissioni interne compaiono quindi agli inizi del Novecento sotto forma di Commissioni rappresentative delle maestranze che si costituiscono in occasione delle vertenze aziendali. Queste non sono stabili ma si formano solo in coincidenza di rivendicazioni collettive, terminate le quali si sciolgono.
Nate nel 1906, vengono soppresse nel periodo fascista e ricostituite in seguito al patto 2 settembre 1943, sottoscritto fra Confindustria e Cgil unitaria.
L’accordo (il cosiddetto patto Buozzi-Mazzini) reintroduce nel campo delle relazioni industriali l’organo di rappresentanza unitaria di tutti i lavoratori, impiegati e operai nelle aziende con almeno 20 dipendenti, attribuendogli anche poteri di contrattazione collettiva a livello aziendale.
Gli accordi che intervengono successivamente (le Commissioni interne ricevono una nuova regolamentazione con l’accordo del 7 agosto 1947 tra la Cgil e Confindustria e con l’accordo interconfederale dell’8 maggio 1953. L’ultimo accordo interconfederale sulle commissioni interne è del 18 aprile 1966) formalmente riducono i compiti delle commissioni interne, soprattutto in materia contrattuale, anche se nella realtà essi rimangono consistenti.
“In tutte le imprese industriali che occupino più di 25 lavoratori - recita l’art. 1 dell’accordo del 7 agosto 1947 - sono istituite Commissioni interne in rappresentanza dei lavoratori di ambo i sessi, impiegati (sia tecnici che amministrativi) ed operai, nei confronti della Direzione aziendale. Se il numero dei lavoratori occupati non è superiore a 25, ma supera quello di 5, è nominato un delegato di impresa. Se una stessa impresa abbia più sedi, stabilimenti, filiali e uffici autonomi, è nominata una Commissione interna o un Delegato per ciascuno stabilimento sede, filiale o ufficio autonomo”.
“Il compito fondamentale della commissione interna o del delegato di impresa - prosegue l’art. 2 - è quello di concorrere a mantenere normali i rapporti tra i lavoratori e la direzione dell’azienda, in uno spirito di collaborazione e di reciproca comprensione per il regolare svolgimento dell’attività produttiva. Spetta in particolare alla Commissione interna:
1) intervenire presso la Direzione per la esatta applicazione dei contratti di lavoro, della legislazione sociale, delle norme di igiene e di sicurezza del lavoro, salva la eventuale successiva azione presso i competenti Organi ispettivi;
2) tentare il componimento delle controversie collettive e individuali di lavoro che sorgessero nella azienda;
3) esaminare con la Direzione, preventivamente alla loro attuazione, gli schemi di regolamenti interni da questa predisposti, la distribuzione degli orari di lavoro, dei turni, l’epoca delle ferie, l’introduzione di nuovi sistemi di retribuzione;
4) formulare proposte per il migliore andamento dei servizi aziendali tendenti al perfezionamento dei metodi di lavoro onde conseguire un maggiore rendimento e una maggiore produttività, vagliando e trasmettendo quelle ritenute utili, suggerite dai lavoratori;
5) contribuire alla elaborazione degli statuti e dei regolamenti delle istituzioni interne di carattere sociale (previdenziale, assistenziale, culturale e ricreativo), delle mense e spacci, e vigilare con propri rappresentanti per il migliore funzionamento delle istituzioni stesse.
Le Commissioni interne rimetteranno alle proprie Organizzazioni sindacali, per la trattazione nei confronti delle Organizzazioni che rappresentano le aziende tutto quanto attenga alla disciplina collettiva dei rapporti di lavoro e alle relative controversie”.
A partire dal 1953 l’elezione delle commissioni avviene nelle aziende con più di 40 dipendenti su liste con voto segreto da parte di tutti i lavoratori e attribuzione dei seggi con criterio proporzionale.
La procedura per l’elezione della commissione interna è affidata a gruppi di lavoratori se avviene per la prima volta o se il mandato è scaduto mentre se le elezioni avvengono prima della scadenza del mandato, è la stessa commissione interna in carica ad avviare la procedura di elezione.
Le liste per le elezioni possono essere presentate da qualsiasi gruppo di lavoratori, sia indipendente che inquadrato sindacalmente (come emanazione diretta delle centrali sindacali). Il numero dei componenti la commissione interna è determinato con un criterio direttamente proporzionale al numero dei lavoratori occupati in ciascuna unità aziendale (in alcune aziende o gruppi erano presenti accordi migliorativi).
Con lo scoppio dell’Autunno caldo, si fa insistente la necessità di avere rappresentanti delle confederazioni eletti direttamente dai lavoratori. La domanda di partecipazione dei lavoratori alle scelte collettive rappresenta una novità alla quale le vecchie strutture sindacali non sono in grado di rispondere. A ricostruire il rapporto tra sindacato e lavoratori è il delegato di linea o di reparto, conquistato con gli accordi del primo semestre del 1969.
Con l’approvazione dei consigli di fabbrica - che nel Congresso del ’70 la Fiom, anticipando la Cgil, riconosce come istanza di base del sindacato - si chiude di fatto l’esperienza delle Commissioni interne ed inizia per i lavoratori e per il sindacato una nuova fase.