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Il professore Michele Raitano è ordinario in Politica economica, direttore del Dipartimento di Economia e diritto, Sapienza Università di Roma. Soprattutto è uno degli studiosi più attenti di sistemi previdenziali. Sostiene che, diversamente dal passato, la pensione futura si costruisce lungo tutto l’arco della carriera lavorativa. Se questa è frammentata, precaria e con periodi lunghi di bassi salari, anche la pensione sarà povera, forse poverissima, se mai ci sarà.
I referendum promossi dalla Cgil servono a restituire dignità al lavoro, e dignità alle pensioni.
Precarietà nel lavoro, quali gli effetti sulla pensione?
Precarietà nel lavoro significa precarietà previdenziale. Il motivo è insito nel nuovo sistema pensionistico, quello introdotto con la riforma del ‘93, il sistema contributivo. La pensione non sarà altro che il riflesso della storia lavorativa degli individui. Si andrà in pensione e si riceverà il frutto di quanto si è versato in contributi. Quindi avere carriere frammentate, precarie, con buchi lavorativi e contributivi, magari costellate di periodi di part-time involontario o periodi di salari molto volatili e bassi, significa capitalizzare minori versamenti di contributi e – di conseguenza - minori pensioni future. Diversamente dal passato non sarà sufficiente – al fine della pensione – che a un certo punto della vita lavorativa, la posizione e la carriera si stabilizzi e migliori poco prima di andare in quiescenza: le cicatrici profonde inferte all’inizio dell’attività lavorative dispiegheranno i propri effetti nefasti anche andando in pensione.
Da questo punto di vista i referendum promossi dalla Cgil sono utili?
I quesiti referendari proposti dalla Cgil sono coerenti con una maggior tutela, anche dal punto di vista previdenziale di lavoratori e lavoratrici esattamente per le ragioni a cui facevo riferimento. Nel momento in cui tutti i rischi previdenziali sono strettamente collegati ai rischi della carriera lavorativa degli individui, tutto quello che migliora la catena rispetto ad avere i contratti più stabili, più sicuri, a tempo indeterminato, e tutto ciò che rafforza - anche lungo la catena dei subappalti - il potere contrattuale di lavoratori e lavoratrici e anche ad avere più salario, contribuisce ad agire su quelle dimensioni di fragilità che altrimenti generano una carriera instabile. A sua volta una pensione fragile, una vita da pensionato inadeguata alla dignità.
Gli effetti positivi che tu elencavi valgono solo per i due quesiti di modifica del Jobs Act o valgono anche per gli altri due?
Tutti e quattro i quesiti hanno come obiettivo restituire dignità al lavoro. Tutti i provvedimenti che riguardano la difesa del lavoro sono meccanismi che vanno a rafforzare i lavoratori, anche quelli che apparentemente potrebbero non muoversi direttamente in questa direzione. Tutto ciò che rafforza il ruolo del lavoro, che migliora le condizioni contrattuali e salariali, la qualità del lavoro, nel lungo periodo migliora anche il reddito da pensione in futuro. In generale: il senso di questi quattro quesiti referendari, al di là degli effetti pratici sulla vita dei lavoratori e delle lavoratrici, è più complessivo, quello di rafforzare il ruolo del lavoro all'interno del mercato del lavoro italiano. Non solo: da trent’anni a questa parte assistiamo a meccanismi di individualizzazione, di crescente solitudine del lavoratore rispetto all’impresa con conseguente riduzione di tutele e diritti. Quello che si è verificato nel corso degli ultimi trent’anni in Italia è un indebolimento del lavoro che si manifesta su tante dimensioni, sul salario, sulle forme contrattuali, eccetera. Lo scopo dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non era solo, o soprattutto, quello di vietare i licenziamenti, anche le imprese grandi li hanno sempre fatti; era un meccanismo utile a riequilibrare – almeno in parte – lo squilibrio di potere tra lavoratore e impresa. Questo squilibrio ovviamente incide negativamente anche in fase di contrattazione. Così come il sistema degli appalti attuale genera insicurezza delle persone non solo nel lavoro: ha a che fare anche con gli stili di vita, con le abitudini individuali, genera problemi di precarietà, di bassi salari. Certo, i referendum non solo risolutivi perché i problemi sono enormi. Però intanto sono un passo utile nella giusta direzione.
In un'epoca in cui si pensa alla delega al capo da assegnare ogni cinque anni, hanno ancora senso strumenti di democrazia partecipata e diretta?
L'idea di appassionare le persone rispetto a dei temi fortemente divisivi e così cercare di recuperare attenzione verso la politica e la politica economica è sicuramente molto importante. Certo, il quadro istituzionale diventa complicato nel momento in cui chi sta al governo ha tutto l’interesse a far fallire i referendum attraverso il gioco del quorum. Probabilmente, però, se soprattutto la sinistra riesce a riavvicinare l’opinione pubblica su temi fortemente sentiti come il lavoro, l’utilizzo di strumenti di democrazia diretta, oltre a essere importante in sé, può avere effetti positivi – in futuro – anche rispetto alla democrazia indiretta mediata dai partiti. Pensiamo – ad esempio – a quello che è successo sul salario minimo: da tema apparentemente di nicchia, ha messo molta paura al governo ed è servito anche a riunire le opposizioni e farle agire unitariamente rispetto all’obiettivo.
Lo ricordavi: una volta raccolte le firme la scommessa vera è quella del raggiungimento del quorum. Cosa bisogna mettere in campo per vincerla?
Questo obiettivo è una sfida difficilissima: il quorum venne introdotto quando in Italia il tasso di astensione oscillava tra il 10 e il 15 per cento, quindi non era conveniente dire “non andare a votare”. Oggi la situazione è cambiata, ma proprio la rilevanza dei temi e la volontà di riattivare l’interesse verso la politica rende la sfida molto difficile, ma possibile e importante. Per paradosso penso che anche se il quorum non dovesse essere raggiunto, comunque sarebbe importante mandare un segnale molto forte che questi temi sono importanti e molto, molto sentiti dalla popolazione. Chiedere agli elettori e alle elettrici di pronunciarsi su temi così rilevanti come quello del lavoro può essere un segnale, ma anche un modo per ricostruire una coalizione laburista in senso proprio, cioè una coalizione attenta ai temi del lavoro in primo luogo, superando la stagione del dover parlare a tutti indistintamente. Occorre affermare che esistono questioni e principi non negoziabili. Il lavoro dignitoso prima di tutto.