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L’affermazione dell’auto elettrica, il protagonismo della Cina, il ritardo dell’Italia e l’inazione del governo. E ancora: la “nuova frontiera” delle vetture a guida autonoma, i timori (purtroppo fondati) per la perdita di occupazione, lo scarso appeal del nostro Paese per i grandi produttori di batterie. Il professor Vincenzo Comito, economista e componente della redazione di Sbilanciamoci, ci guida nell’esplorazione dell’automotive di oggi e di domani.
Il passaggio all’auto con propulsione elettrica sembra ormai un processo irreversibile: è davvero così?
Il 2023 ha segnato nel mondo l’affermazione definitiva dell’auto elettrica, nonostante l’opposizione qua e là di alcuni gruppi di interesse e di qualche governo, a partire da quello italiano. Ancora in queste settimane singoli membri del governo, e i loro amici nei media, continuano ad abbaiare alla luna contro tale realtà. Il segno più evidente dell’affermazione dell’elettrico è stata, da una parte, la concentrazione progressiva dei nuovi investimenti di tutte le principali case mondiali in questo settore (le cifre sono ormai astronomiche), dall’altra, i numeri relativi alle vendite nel mondo, che continuano a crescere.
A proposito di numeri: di che dimensioni parliamo?
A livello globale nel 2023 si sono vendute 13,6 milioni di vetture tra elettriche e ibride, con una crescita di circa il 33% rispetto all’anno precedente e con prospettive ancora in aumento rilevante per il 2024. La quota di mercato delle elettriche sul totale a livello mondiale è stata del 17% nel 2023, con la prospettiva di crescere ancora e superare il 20% nel 2024.
Quali sono i Paesi più attivi nella produzione e nello sviluppo delle tecnologie relative?
Al momento il vincitore assoluto in questa gara all’innovazione è la Cina, che controlla sostanzialmente tutta la filiera del settore, dalla lavorazione delle materie prime alla produzione delle batterie, del software di bordo, delle vetture, nonché del riciclaggio finale dei materiali. Nel Paese asiatico nel 2023 si sono vendute circa 9,5 milioni di vetture elettriche e ibride, con una quota di mercato all’interno del 38% sul totale e di circa due terzi sul totale delle auto prodotte a livello mondiale, con un’esportazione di circa 1,2 milioni di unità.
E le vendite in Europa e Stati Uniti?
In Europa si sono vendute nello stesso anno circa tre milioni di vetture elettriche e ibride, ma con grandi escursioni di risultati da Paese a Paese. Così passiamo da oltre il 90% come quota di mercato delle elettriche in Norvegia, al 4% circa dell’Italia. Più indietro dell’Unione Europea si collocano gli Stati Uniti. Bisogna peraltro ricordare che a livello di singole case si vanno distaccando ormai dal folto plotone degli inseguitori la cinese Byd e la statunitense Tesla, l’unica casa che impensierisce i produttori del Paese asiatico, con i suoi grandi programmi di sviluppo e le sue altrettanto grandi capacità tecnologiche.
Da quanto appena detto, capiamo che le case automobilistiche europee sono indietro…
Tra i perdenti non possiamo non annoverare, per il momento almeno, i produttori europei, con Bmw, Mercedes e Volkswagen che sono partite in ritardo e che stanno affannosamente cercando di recuperare con enormi investimenti, mentre non si sa se e quanto riusciranno a farlo anche Stellantis e Renault, forse ancora più in ritardo. In ogni caso tutti stanno portando avanti accordi di vario tipo con i cinesi. In bilico anche gli americani General Motors e Ford.
In Italia, dunque, la quota è appena al 4 per cento: quali sono le cause di una così bassa penetrazione?
Le ragioni della scarsa diffusione delle vetture elettriche in Italia sembrano molte. Intanto bisogna ricordare le già citate prese di posizione ostili da parte del governo e dei suoi media, postura che tocca peraltro più in generale tutte le misure che cercano di combattere l’inquinamento ambientale e che influenzano in qualche modo l’opinione pubblica.
Va anche detto che le auto elettriche ancora costano abbastanza…
Bisogna infatti considerare il costo più elevato delle vetture elettriche rispetto a quelle a propulsione tradizionale, mentre nei paesi del Nord Europa i redditi medi sono più elevati e quindi i cittadini trovano più agevole acquistare le vetture elettriche. Questo spiega anche i maggiori sforzi commerciali fatti dalle case negli stessi paesi del Nord. Inoltre in Italia sono ancora scarse le postazioni di ricarica delle batterie. Potrebbero esserci poi altre ragioni che ci sfuggono.
Cosa occorrerebbe fare per spingere le immatricolazioni?
Per stimolare le vendite bisognerebbe incrementare fortemente la rete di ricarica, varare programmi pubblici massicci concentrati sulle agevolazioni alle sole vetture elettriche e considerare poi il varo di programmi, in concerto con l’industria, per mettere come in Francia a disposizione dei potenziali utenti vetture elettriche a costo contenuto.
Il passaggio all’elettrico avrà anche ripercussioni sul trasporto pubblico: in che modo potrebbe cambiare?
L’arrivo dell’elettrico, e poi anche e soprattutto della vettura a guida autonoma, dovrebbe spingere a ripensare a una nuova configurazione e a un rilancio del sistema del trasporto pubblico, anche se al momento non si vede all’orizzonte alcuna iniziativa di rilievo in proposito. In ogni caso, mantenere la centralità dell’auto di proprietà individuale nella politica dei trasporti, senza cogliere l’occasione delle novità per ripensare a un nuovo ruolo di quello collettivo, non sembra una buona soluzione a lungo termine.
E sul fronte della lotta al cambiamento climatico?
Si dovrebbe anzitutto pensare a sostituire rapidamente nelle nostre città tutti i mezzi di trasporto pubblico acquisendo veicoli elettrici, ma naturalmente il nostro governo non sembra avere alcuna voglia di spingere sull’argomento. Ma al di là di questo, l’arrivo delle vetture autonome comporterebbe la conseguenza che esse potrebbero essere utilizzate per il 100% del tempo, mentre oggi esse giacciono inattive per la gran parte delle giornate. Si potrebbero creare grandi pool di vetture, gestite dall’operatore pubblico, disponibili a chiamata per l’affitto. Per funzionare in maniera ottimizzata poi le vetture autonome avrebbero bisogno del ridisegno e della modernizzazione del sistema viario, ciò che comporterebbe di nuovo la possibilità di ripensare in senso ecologico le nostre città. Ma tutto questo richiederebbe una volontà di intervento del potere pubblico.
La “nuova frontiera”, quindi, è l’auto a guida autonoma: a che punto siamo nella ricerca, nella produzione e nella disponibilità di queste vetture?
Dopo la rivoluzione della vettura elettrica e quella del software per l’auto, è in arrivo quella della vettura a guida autonoma, innovazione presumibilmente ancora più dirompente delle precedenti. Per la verità anni fa si pensava che essa sarebbe venuta prima di quanto stia ora accadendo, e il problema ha a che fare con l’estrema complessità tecnica della questione: sono coinvolte le tecnologie del G5 (in Cina siamo peraltro già al G5.5), quelle satellitari, dell’intelligenza artificiale, della robotica, dei big data, la presenza di supercomputer e così via.
Al contrario di quanto si poteva pensare qualche anno fa, l’introduzione della nuova tecnologia sta dunque avvenendo per gradi.
Si distinguono in effetti cinque progressivi livelli di guida autonoma e nel mondo circolano già molte vetture che posseggono il secondo e il terzo livello. Almeno in Cina appare ormai imminente (da uno a due anni) il varo sul mercato di vetture abilitate dalla legge per il quarto, cosa già data per scontata, e il quinto livello.
In quali parti del mondo potremmo veder circolare queste particolari vetture?
Alcune tra le più grandi città cinesi sono ormai aperte alle vetture a guida autonoma, con servizi di robotaxi su percorsi molto ampi, e con le attività in merito si sono compiute ormai molte decine di milioni di chilometri. Anche in alcune città statunitensi vanno avanti esperimenti analoghi, sia pure in misura un poco meno importante.
In questo specifico comparto, quali sono i Paesi più attivi?
Gareggiano per il primato tecnologico diverse imprese cinesi (Huawei, Baidu, tra quelle più avanti, sulla base anche delle loro importanti esperienze nel campo del software e dell’elettronica) e statunitensi (in particolare Google, attraverso la controllata Waymo, e Tesla, che non abbandona certo la partita, come ha fatto invece la General Motors). Ancora più che nel caso delle vetture elettriche, in quelle del software e della guida autonoma le case europee sono indietro, ma stanno anche in questo caso faticosamente cercando di recuperare.
E riguardo gli investimenti?
In generale anche in questo settore si stanno investendo somme colossali. Così in Cina partecipano al momento all’avventura dozzine di imprese, case dell’auto globali e locali, start-up e giganti tecnologici. Sempre in tale Paese, che dovrebbe essere il più importante al mondo per il settore, la Mc Kinsey prevede che si registreranno vendite per il comparto per ben 230 miliardi di dollari già nel 2030.
Torniamo all’Italia. Nel mercato globale dell’automotive il nostro Paese continua a perdere posizioni: qual è la situazione?
In effetti abbiamo assistito nel tempo a un crollo della produzione di vetture. L’Italia, diversi decenni fa, era il secondo produttore europeo, dopo la Germania, mentre ora è scivolata al settimo-ottavo posto. Ancora negli anni Novanta del Novecento si producevano ogni anno circa 1,7 milioni di vetture, nel 2016 eravamo ormai a un milione di pezzi e nel 2022 eravamo scesi a 685 mila unità. Le prospettive, in particolare in alcuni stabilimenti, sono del tutto nebulose, il quadro vede ogni anno una riduzione nel numero degli occupati, e il sistema si regge in qualche modo sul sostegno pubblico, in particolare con la cassa integrazione.
Quali azioni dovrebbero mettere in campo il governo e le maggiori imprese del settore?
Il governo sta discutendo da qualche tempo con la proprietà francese per un ritorno a un milione di unità, ma il risultato dei colloqui appare difficilmente positivo. Comunque nel 2023 la produzione di vetture è aumentata del 9%. Bisogna in ogni caso provare a insistere. Ma il problema è anche che le prospettive di mercato in Italia, in particolare per le vetture elettriche, non sono entusiasmanti.
Altro tema dirimente è quello della produzione delle batterie per l’auto elettrica.
Si è ottenuto che sia localizzato un impianto di batterie nel nostro Paese, ma d’altro canto l’Italia, oltre a non avere un mercato entusiasmante, non presenta vantaggi rilevanti dal punto di vista dei costi di insediamento. In questo momento diversi produttori stanno decidendo dove localizzare nuove fabbriche di batterie, ma sembrano scartare il nostro Paese. Pensiamo che la Cina, in particolare, per le sue fabbriche di batterie e di produzione di auto sceglierà lidi più amichevoli e/o più importanti del nostro, come sta facendo con la Germania, l’Ungheria, la Gran Bretagna e forse la Francia.
Il sindacato italiano e internazionale teme una forte perdita di occupazione con il passaggio all’elettrico: è un timore fondato?
Il passaggio all’elettrico pone grandi sfide all’occupazione per diverse ragioni. Anzitutto una vettura elettrica è più semplice da costruire: è costituita da molte meno parti rispetto a una vettura tradizionale, quindi sono necessari meno addetti per la sua produzione. L’innovazione tecnologica sta anch’essa scavando in profondità: va in questa direzione, ad esempio, l’introduzione da parte di Tesla delle grandi presse che riescono a produrre importanti parti della vettura in maniera più semplice.
Ricadute negative si aspettano anche nella componentistica…
Altrettanti problemi si pongono infatti per i produttori di componenti, la cui domanda in genere tende ovviamente a ridursi a parità di livelli produttivi, mentre l’innovazione dell’elettrico mette fuori mercato, in mancanza di un’adeguata riconversione, i produttori di componenti tipici delle vetture ad alimentazione tradizionale. Bisogna poi ricordare che tendenzialmente ormai in una vettura elettrica la batteria costituisce circa il 40% del suo valore e che il software un altro 40%. Resterà molto meno spazio per il resto. Al di là delle quantità prodotte, quindi, c’è il problema che le produzioni richieste ai componentisti saranno molto diverse per la gran parte da quelle domandate in passato.
L’occupazione, dunque, sembra davvero destinata a ridursi.
Problemi ulteriori, poi, si porranno con l’introduzione della vettura a guida autonoma, che, per ragioni che qui trascuriamo per problemi di spazio, tenderanno a ridurre in maniera significativa i volumi produttivi di vetture. La professione di autista, che oggi occupa una fetta consistente degli occupati dei vari Paesi, tenderà con il tempo sostanzialmente a scomparire. Personalmente, quindi, sono abbastanza pessimista sul futuro dell’occupazione.
Come si potrebbe fare, allora, per compensare o attutire le perdite?
Si potrebbero aiutare i produttori di componentistica a restare sul mercato, incoraggiando la fusione tra le società del settore, anche a livello internazionale: ciò le renderebbe più forti, contribuendo poi a finanziare i loro sforzi di ricerca e sviluppo, aiutandoli ancora nei loro inevitabili processi di diversificazione produttiva e di conquista di nuovi mercati. Per quanto riguarda gli assemblatori finali di vetture, sarebbe necessario un aumento dei livelli produttivi, cosa peraltro piuttosto impegnativa. Sarebbero infine molto importanti, ovviamente, dei programmi di sostegno alla riconversione e al ricollocamento dei lavoratori che risultassero espulsi dalle fabbriche in chiusura.