Un mese dopo la chiusura dell'impianto di cracking di Eni Versalis e dell'annuncio di vendita del capannone sindacale al Comune di Venezia, i lavoratori del Petrolchimico veneziano sono ancora in presidio, in attesa di risposte da parte dell'amministrazione della città lagunare. Da 30 giorni chiedono al sindaco, Luigi Brugnaro, un protocollo per chiarire quale sarà l'utilizzo futuro di una struttura storica per i lavoratori e per tutta Marghera.
Per decenni il Capanòn è stato il simbolo delle lotte operaie di questo territorio. Conquistato con gli scioperi del 1971, qui si riunivano i consigli di fabbrica e i lavoratori, si svolgevano assemblee e spettacoli. Si andava ad ascoltare le parole di giganti della politica come Sandro Pertini ed Enrico Berlinguer o i segretari generali della Cgil degli ultimi cinquant'anni. Una struttura situata in un punto strategico, di fronte all’ingresso del Petrolchimico, precedentemente utilizzata come mensa, al cui interno, oggi è possibile trovare un patrimonio di testimonianze e di memoria che i sindacati intendono tutelare e preservare dalle speculazioni.
Se c'è una frase che ricorre tra gli operai in presidio è questa: "Tutto è sempre partito da qui. Ogni vertenza, ogni manifestazione, ogni azione di lotta. Qui si sono svolte discussioni epocali perché non sempre si era tutti d'accordo. Ma dal Capannone – con la C maiuscola – si usciva sempre con una sintesi". La vertenza con maggior risalto mediatico è quella che ha visto Nicoletta Zago, ex delegata sindacale della Vinyls, salire con due compagni di lavoro su una torcia a 150 metri di altezza dopo l'annuncio di chiusura da parte dell'azienda.
"Nel 2010 – racconta Nicoletta – proprio qui abbiamo deciso di occupare le fiaccole del petrolchimico. Ci siamo piazzati su una piattaforma con una piccola tenda e tre sacchi a pelo. Siamo rimasti lì per svariate notti. Ci dividevano dal suolo 440 gradini. Confesso che il freddo era tanto: nevicava e di notte la temperatura scendeva fino a -10°C". Ma non è l'unica testimonianza. Un altro lavoratore, Dario Seccarello, racconta la sua prima volta al Capannone: era il 1986 e c'era così tanta gente che non sono nemmeno riuscito a entrare e ho seguito l'assemblea da fuori.
All'inizio degli anni ottanta il Capannone è stato il simbolo della lotta del movimento operaio al terrorismo. Il 5 luglio del 1981 veniva fatto ritrovare a pochi passi dalla Montedison il corpo del direttore generale dell'epoca, Giuseppe Taliercio, ucciso dalle Brigate Rosse. Proprio qui i lavoratori hanno deciso di fare fronte comune contro la barbarie.
"La vertenza per il Capannone è lo specchio delle lotte che da anni portiamo avanti per il futuro di Porto Marghera" spiegano i lavoratori. Davide Camuccio, segretario generale della Filctem Cgil Venezia, assicura che da qui nessuno si sposterà fino a quando il Comune non deciderà di convocare i sindacati. Per il leader della Camera del lavoro, Ugo Agiollo, proprio nel Capannone dovranno essere discusse e verificate tutte le iniziative per il futuro industriale del polo chimico. Un futuro nel quale rilanciare le produzioni che oggi rischiano di lasciare spazio al nulla".
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