PHOTO
Il 20 settembre del 2002 Guglielmo Epifani veniva eletto segretario generale della Cgil.
“Caro Guglielmo - gli scriveva quel giorno il segretario dei Ds Piero Fassino - la tua elezione a segretario generale giunge all’inizio di una stagione che si preannuncia come un banco di prova per l’opposizione e per il movimento sindacale. Raccogli una eredità straordinaria e di enorme responsabilità. Un insieme di ideali, valori, passioni e speranze, ma anche una comunità di milioni di uomini e donne che costituisce un patrimonio prezioso per l’Italia”.
Nato a Roma nel 1950 (nel 1953 - raccontava lui stesso - la mia famiglia si è trasferita a Milano per poi tornare a Roma, nel quartiere Talenti, dove ho terminato gli studi secondari presso il liceo Orazio conseguendo la maturità classica nel 1969), primo socialista a guidare la Confederazione, Guglielmo Epifani era stato vice di Bruno Trentin e poi di Sergio Cofferati.
Laureato in filosofia con una tesi su Anna Kuliscioff, ricercatore presso la cattedra di storia moderna alla facoltà di Lettere alla Sapienza, direttore dell’Esi, la casa editrice della Cgil, aveva iniziato nel 1979 la sua carriera di dirigente sindacale nella categoria dei lavoratori poligrafici e cartai.
Ne diviene segretario generale, poi passa alla Filis, la categoria della Cgil che rappresenta i lavoratori della comunicazione, dell’editoria, della cultura e dell’informazione.
Nel 1990 entra nella Segreteria confederale della Cgil guidata da Bruno Trentin assumendo l’incarico di responsabile dell’organizzazione.
Nel settembre del 2002 il Comitato direttivo della Confederazione lo elegge segretario generale (incarico che lo impegna fino al termine del 2010 quando passa a presiedere l’Associazione Bruno Trentin. Nel 2013 viene eletto in Parlamento nelle fila del Pd (verrà rieletto nel 2018 nelle liste di Leu), del quale diverrà per un breve periodo anche segretario generale succedendo a Bersani).
“Il lavoro che ci aspetta non è facile - diceva nell’occasione - (…) L’augurio che faccio a tutti noi, a partire dalla segreteria confederale, è di portare la nostra Cgil al compimento dei 100 anni di vita altrettanto unita e autorevole come è oggi. Il grande merito di Sergio è stato questo: una Cgil autonoma, forte, unita, amata, rispettata, temuta. E di lui, che dire? Un lavoro faticoso, una dedizione continua, uno spirito di sacrificio che raramente si incontrano. Con Sergio abbiamo lavorato in questi dodici anni, se posso dire, spalla a spalla. Abbiamo condiviso scelte, preso decisioni difficili, qualche volta discusso con passione. E con noi molti dei compagni del Comitato direttivo e che sono qui presenti, altri, come Bruno Trentin, Pizzinato, Del Turco e Bertinotti, impegnati in funzioni di rappresentanza parlamentare e politica; altri ancora che invece ci hanno lasciato, spesso all’improvviso, dedicando alla Cgil la loro passione e la loro vita. (…) Con l’elezione a segretario generale di un compagno di formazione politica e ideale socialista, si porta a compimento il processo avviato con lo scioglimento delle componenti politiche oltre dieci anni fa: una scelta che ha rafforzato l’autonomia della Cgil, ci ha portato a definire un impianto forte di regole e procedure generali, con i necessari equilibri e funzioni di controllo, e a riconoscerci nei fondamenti programmatici e di valore comuni. Anche per questo si carica su di me una più alta responsabilità che spero, insieme con le compagne e i compagni della segreteria confederale e con tutti voi, di saper affrontare. Anche perché il valore dell’autonomia è fondamento della libertà e della responsabilità di ognuno di noi; della nostra unità, della nostra democrazia”.
“Facevo il ricercatore - era solito raccontare - Poi Piero Boni, che era l’aggiunto di Lama, mi chiese di raccogliere gli scritti di Bruno Buozzi. Pubblicammo un libro, mi proposero di occuparmi della casa editrice del sindacato. A 27 anni scelsi il sindacato di cui mi ero, se si può dire, innamorato”.
“(...) Sì - specificava - la ricerca è stata il mio primo amore e per un certo tempo ho pensato che sarebbe stata anche il mio futuro e la mia vita. Poi ho incrociato il sindacato, sia pure all’inizio proprio per il tramite della ricerca e dello studio, e quella passione ha prevalso. Ma non ho mai percepito una cesura netta fra le due esperienze. Anche se, con il crescere negli anni delle responsabilità più strettamente politiche, il tempo e la concentrazione per lo studio e l’approfondimento sono stati inevitabilmente un po’ sacrificati. Non è mai venuta meno, però, l’attenzione a questi aspetti perché è l’azione sindacale stessa che si alimenta della ricerca. (...) Ma più in generale l’importanza - direi la centralità - della ricerca nell’attività sindacale sta nel fatto che essa garantisce autonomia. Intendo innanzitutto autonomia intellettuale, culturale. L’elaborazione di un punto di vista proprio consente indipendenza dalle visioni, pur autorevoli, di altri soggetti e istituzioni. E costituisce anche, credo, un arricchimento per il dibattito e la riflessione generale”.
“Un paese che non guardi ai giovani - ci diceva qualche anno dopo - è un paese che si chiude, che ha paura, che non investe sul proprio futuro. (…) Non abbiamo vissuto e speso questa storia per tornare alle disuguaglianze del tempo delle origini. Non lo vogliamo. Non lo permetteremo. Non lo possono volere tutte quelle imprese che puntano sulla qualità e sull’innovazione per reggere la competizione in un mondo reso più incerto e difficile dalla globalizzazione dei mercati. Lavoreremo - care compagne e cari compagni - perché il futuro abbia il cuore e la forza di questa storia, che è storia del paese, rinnovandola e riformandola, accettando le sfide, come sempre abbiamo fatto, quando la sfida ha avuto ed ha una posta importante. Quello che ha alimentato una ragione di vita ed una ragione di appartenenza, per tanti, attraverso le generazioni, ci servirà per il cammino che ci aspetta. (…) In questo modo la storia centenaria della Cgil e di tutto il sindacato continuerà a vivere davvero e sarà stata una storia spesa bene, per chi la volle e per il paese. Una storia che con emozione e orgoglio (…) consegniamo a tutti coloro che verranno. Perché questa storia gli appartiene, perché vogliamo che il futuro comune riparta da qui”.