PHOTO
Il 20 maggio del 1970 la Legge 300, meglio nota come Statuto dei lavoratori, viene pubblicata sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana divenendo a tutti gli effetti legge dello Stato. Affermerà Luciano Lama, segretario generale della Cgil: “Lo Statuto dei diritti è frutto della politica unitaria e delle lotte sindacali: lo strumento non poteva che essere una legge, ma la matrice che l’ha prodotta e la forza che l’ha voluta è rappresentata dal movimento dei lavoratori e dalla sua azione organizzata”.
Il 4 gennaio 1969, parlando ad Avola, il ministro Giacomo Brodolini annunciava un disegno di legge per varare uno Statuto del sindacato nell’impresa che garantisse i diritti della persona nei posti di lavoro. Il 9 aprile la polizia sparava ancora a Battipaglia mentre era in corso la protesta per la chiusura del locale tabacchificio. Brodolini, gravemente malato (morirà a breve), forza i tempi di approvazione della legge con una febbrile attività.
Il 24 giugno 1969 il disegno di legge governativo viene presentato in Senato. In una intervista rilasciata all’Avanti! dello stesso giorno diceva Gino Giugni:
Tra le due parti del progetto che riguardano rispettivamente i diritti dei lavoratori e la presenza del sindacato in fabbrica, esiste innanzitutto una stretta connessione. La nostra tesi infatti è che la creazione di un clima di rispetto della dignità e libertà del lavoratore non può derivare soltanto da una dichiarazione di questi principi, anche quando ad essa, come nel caso nostro, si accompagnino adeguate sanzioni. In realtà, come l’esperienza insegna, la sanzione più efficace riposa nella capacità di contestazione e di innovazione del sindacato e perciò occorre che il sindacato sia presente nell’azienda. La prima parte del progetto riguarda la garanzia della libertà di manifestazione del pensiero, naturalmente in forme che non impediscano lo svolgimento del lavoro; vengono inoltre eliminate le pratiche di controllo fiscale, le quali sono, purtroppo, ignote dove soprattutto il sindacato è più debole. Tali sono le cosiddette polizie private, le ispezioni personali che potranno essere ammesse solo quando ne ricorre la necessità, e con tutte le garanzie del caso, i controlli per assenza malattia che vano oltre la necessità di reprimere gli abusi, i controlli a distanza con apparati televisivi o di altro tipo che sottopongono il lavoratore ad una vigilanza continuativa, l’irrogazione arbitraria di sanzioni disciplinari, per le quali sono introdotte soprattutto speciali garanzie procedurali. Per la parte concernente più direttamente il sindacato, basti dire che, in pratica, ogni sindacato rappresentativo potrà creare la propria rappresentanza a livello aziendale con la semplice indicazione dei lavoratori o degli organismi a tal fine destinati; per questi saranno operative varie garanzie: diritto di indire assemblee e referendum, di disporre dei locali (nelle imprese con più di 300 dipendenti) e di permessi retribuiti; mentre sarà operativa una speciale tutela contro i licenziamenti e i trasferimenti per rappresaglia. La creazione di un ampio spazio per il sindacato nell’azienda è un’esigenza che si è manifestata in tutti i paesi europei e il diritto sindacale italiano con questa legge apparirà tra i più avanzati se non il più avanzato in senso assoluto. A maggiori poteri si accompagnano naturalmente maggiori responsabilità; ma credo che i sindacati italiani siano in grado di assolvere queste ultime; mentre un imprenditore moderno non può non accettare di buon grado il quadro di relazioni industriali che estende l’area del dialogo e quindi della contrattazione.
L’11 dicembre 1969 il disegno di legge del governo è approvato in prima lettura dal Senato. Votano a favore del provvedimento i partiti di centro-sinistra e i liberali. Si astengono - con opposte motivazioni - Msi da una parte, Pci, Psiup e Sinistra Indipendente dall’altra.
“In quell’anno - raccontava lo scorso maggio a Collettiva Achille Occhetto, ultimo segretario del Partito comunista italiano - mi trovavo in un momento di passaggio del mio incarico politico: ero stato responsabile stampa e propaganda del partito poi Enrico Berlinguer mi chiamò e mi chiese di fare un'esperienza sul campo, a diretto contatto con la gente, perché allora si usava fare così per formare i quadri politici. Quindi quando lo Statuto dei lavoratori divenne legge mi trovavo a Palermo, impegnato in una battaglia estremamente dura: impedire a Vito Ciancimino di diventare sindaco, una battaglia vinta grazie all'alleanza con le forza sane e antimafiose della città. Intanto a Roma la legge era stata molto discussa in Parlamento. Il Pci aveva deciso di astenersi perché la riteneva insufficiente. A mio giudizio si trattò di un errore, di una posizione molto miope dettata prevalentemente da motivi di politica generale e dal contrasto con il centro-sinistra che offuscò in parte le nostre idee. Il nostro partito aveva colto dei limiti, tuttavia secondari, che si riferivano al fatto che la giusta causa avrebbe coperto solo chi lavorava in aziende con almeno 15 dipendenti. In realtà si trattò di un salto di civiltà di notevole portata per la dignità e i diritti dei lavoratori: come si disse all’epoca per la prima volta la Costituzione entrava in fabbrica, dopo tanti anni di discriminazioni che avevano colpito duramente lavoratori, sindacalisti e politici”.
“Quella materia andava preservata dall’intervento della politica - è al contrario ancora oggi il parere di Aldo Tortorella - Era una materia che andava regolata dalla trattativa sindacale e non da una legge che può essere fatta, ma poi disfatta. Si poteva e si può ritenere che l’intervento statuale nella regolamentazione dei rapporti di lavoro oltre un certo limite può essere negativo, come si è poi rivelato alla lunga. L’astensione, legittima e necessaria, ha rappresentato una riserva, non una condanna del provvedimento. Trovo siano sbagliate le critiche postume, che non condivido”.
Nonostante l’astensione del Partito comunista, il disegno di legge del governo è approvato in prima lettura dal Senato. Il giorno dopo, 12 dicembre, esplode la bomba alla Banca della Agricoltura a Milano: è la strage di Piazza Fontana.