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Dalla stampa in questi giorni apprendiamo che nel paese ci sarebbe grande preoccupazione per il mancato rinnovo da dieci anni del Ccnl dei lavoratori della formazione professionale. Non possiamo che essere contenti di questa attenzione, ma come Flc Cgil ci permettiamo di condividere alcune considerazioni.
Da circa tre anni i sindacati – dopo la riforma del Titolo V che ha assegnato la competenza esclusiva alle Regioni - stanno cercando, insieme alle organizzazioni datoriali di coinvolgere le Istituzioni regionali. In questo dibattito: abbiamo incontrato in più occasioni il coordinamento delle Regioni, ma senza risultati concreti in materia di contrattazione. Proprio Lombardia e Piemonte dovrebbero dare atto ai sindacati di aver tenuto accesa l’attenzione sul tema, ma interventi a sostegno in questi anni non ce ne sono stati.
In Italia, secondo i dati forniti dal Cnel, applicano il Ccnl 1.668 enti e aziende con 18.203 dipendenti. A questi si aggiungono un numero imprecisato di parasubordinati e autonomi; considerato il rapporto dipendenti/autonomi negli enti non è esagerato stimare che siano almeno 100 mila i lavoratori impiegati nei sistemi regionali e almeno altrettanti quelli che operano nelle agenzie private al di fuori della filiera Istruzione e Formazione Professionale.
Pensiamo che le associazioni datoriali firmatarie del Ccnl fermo dal 2013 in questa fase debbano fare uno sforzo, mettendo a disposizione le risorse necessarie per un rinnovo sostenibile ma anche dignitoso. Dopo dieci anni di mancato rinnovo l’aumento contrattuale non può essere simbolico. Ecco perché stupisce il richiamo che alcuni grandi enti di formazione rivolgono a soggetti terzi: l’impegno al rinnovo deve prima di tutto venire proprio dai datori di lavoro che devono individuare le risorse necessarie e renderle esigibili.
Naturalmente il sistema ha alcune questioni da risolvere che sono state evidenziate con lettera al presidente della Conferenza delle regioni Massimiliano Fedriga già nel marzo del 2022:
- adeguare i riconoscimenti economici riservati alla IeFP (il sitema di istruzione e formazione professionale, ndr), molto distanti da quelli che caratterizzano la scuola, e garantire che sia riconosciuto un parametro minimo adeguato in tutte le Regioni. Tale riconoscimento economico da parte di tutte le Regioni, che potranno comunque incrementarlo, è fondamentale anche per rendere possibile un adeguamento salariale in sede di rinnovo contrattuale sostenibile allo stesso modo dagli Enti nelle diverse realtà territoriali. Anche le Ucs (le unità di costo, ndr) o i voucher che finanziano le altre tipologie formative e i servizi per il lavoro devono essere rivisti, garantendo che sia riconosciuto un parametro minimo adeguato in tutti i territori;
- assumere che per tutta la formazione finanziata con fondi pubblici, e soprattutto per quella ordinamentale (IeFP, Ifts), sia obbligatorio, per poter essere accreditati, applicare il Cccnl della Fp firmato delle organizzazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative. Ciò a garanzia della qualità della formazione e al fine di creare maggiore unitarietà e riconoscibilità di questo settore strategico, evitando fenomeni di dumping con effetti distorsivi nei sistemi regionali. Ad oggi solo nove regioni obbligano all’applicazione del Ccnl di settore nazionale.
Il sottosegretario Durigon, invece di fare la polemica sul salario minimo, assolutamente fuori luogo, dovrebbe convocare le parti al ministero del Lavoro. Parla di rilancio della contrattazione: noi da tempo cerchiamo di praticarla, ma è evidente che occorre bloccare l’accreditamento degli enti che applicano i contratti di sotto tutela firmati da organizzazioni minoritarie se non di comodo. Sarebbe una spinta che nessuno in questi anni ha voluto cogliere, né dal sistema delle Regioni né dai ministeri.
Non servono fughe in avanti di alcune Regioni. È chiaro a tutti che Lombardia e Piemonte hanno risorse da investire nel settore e sono pronte, ma il sistema è nazionale e quindi gli interventi devono garantire tutti i territori: la IeFP, infatti, assolve al diritto/dovere alla formazione e in molti casi all’obbligo scolastico, per cui l’offerta deve essere omogenea in tutto il territorio.
Proprio qui si evidenziano i limiti del sistema regionalizzato dal Titolo V. Dimostra questa situazione a cosa può portare l’autonomia differenziata: 20 sistemi differenti che non offrono pari opportunità agli studenti dello stesso Paese e ai lavoratori. Dobbiamo, invece, lavorare per tenere unito il sistema. Applicare un unico contratto nazionale (evitando l’uso di contratti pirata), rinnovarlo con le risorse necessarie dando valore al lavoro: così si va nella giusta direzione. Inoltre, il sistema deve avere una regia statale nazionale che si integri con l’offerta professionale: la sperimentazione proposta dal ministro Valditara, che svaluta i percorsi professionalizzanti, indebolendo il valore legale del titolo di studio e delle qualifiche professionali, rischia di essere una occasione persa.
Alessandro Rapezzi, segretario nazionale Flc Cgil