La Fip industriale spa di Selvazzano (Padova), impresa leader del campo dell’ingegneria civile e della costruzione di infrastrutture stradali e ferroviarie, occupava circa 270 lavoratori, impiegati ed operai, adibiti alla progettazione, produzione, commercializzazione, posa in opera e manutenzione di dispositivi antisismici, prodotti per gallerie, barriere, apparecchi di appoggio e giunti per la realizzazione di ponti e viadotti.

A seguito della contrazione del mercato, e sottoposta a una grave crisi finanziaria, già nel marzo 2017 l’azienda avviava una procedura di mobilità, terminata con un accordo sindacale per la gestione di 65 licenziamenti non oppositivi, supportati da un piano industriale che confermava la scelta strategica del mantenimento della divisione edile come braccio operativo del comparto meccanico della progettazione e della produzione. Nel giugno 2018, Fip industriale cedeva in affitto il ramo della produzione meccanica a una newco, Fip Mec, con il trasferimento in essa di 115 lavoratori.

Il 31 luglio dello stesso anno l'azienda annunciava improvvisamente di voler procedere al licenziamento di 96 dipendenti dei 132 in forza, prefigurando la definitiva cessazione dell’attività cantieristica, che occupava 53 operai edili e 15 tecnici, fatti salvi i 9 addetti al cantiere del Mose. A questi si aggiungevano - nella definizione degli esuberi - 28 lavoratori, fra edili e meccanici, impiegati cosiddetti di staff, ovvero dell’amministrazione di FIP Industriale e delle attività di supporto alle aziende del gruppo della famiglia Chiarotto, fra le quali la stessa neonata Fip Mec.

Solo pochi giorni dopo, il 3 agosto, pendendo istanza di fallimento, l’azienda depositava richiesta di concordato, al quale veniva ammessa il 3 gennaio 2019. Essendo nuovamente possibile, grazie al decreto governativo, cosiddetto Genova, del settembre 2018, il ricorso alla cigs anche in caso di cessazione di attività da parte dell’impresa, i sindacati hanno insistito per ottenere la sospensione dei licenziamenti e della programmata cessazione del ramo edile, affinché gli esuberi potessero essere in parte o del tutto assorbiti e il capitale di professionalità rappresentato dall’insieme dei lavoratori potesse essere valorizzato mediante un’acquisizione, da parte di terzi, dei cantieri o del ramo d’impresa.

L’11 giugno scorso, la Fip industriale ha aperto una procedura di mobilità per 84 dipendenti sui 95 in forza. Il serrato confronto fra i sindacati e l’azienda, durato per settimane e finito sul tavolo istituito presso la direzione lavoro della Regione Veneto, si è oggi concluso con la sottoscrizione di un accordo che prevede il licenziamento a seguito della chiusura definitiva del ramo edile di 78 lavoratori, dei quali 51 afferenti alla divisione edile e 27 relativi agli uffici cosiddetti di staff, con il riconoscimento di un incentivo all’esodo nei loro confronti.

“Nonostante si sia raggiunto un accordo, rimane l’amarezza per aver dovuto assistere alla fine di un'impresa così importante. Una conclusione non all'altezza della storia di Fip industriale. Non sarà certo un incentivo all’esodo a compensare ciascun lavoratore licenziato della perdita del posto di lavoro, che sia questo un cittadino veneto o calabrese, edile o metalmeccanico, impiegato od operaio. Per il capitale rappresentato dalla loro professionalità costruita in decenni di appassionato lavoro, oggi a perdere non sono solo questi lavoratori, ma un territorio che si vede privato di un’eccellenza e un Paese a cui viene a mancare l’ennesimo player per lo sviluppo del sistema infrastrutturale, premessa indispensabile per la competizione della nostra economia nel mondo globalizzato", affermano Dario Verdicchio, segretario Fillea Padova, e Giulia Sanavio, Rsa Fillea Fip industriale.

"Si resta delusi e sconcertati per aver assistito, ancora una volta, all’impossibilità di vedere preservata un’impresa, un bene comune secondo il dettato costituzionale, in una procedura di concordato. Procedura alla quale troppe aziende delle costruzioni sono state e continuano ad essere costrette a ricorrere, per evitare il fallimento e le ancora più pesanti ricadute sull’indotto dei fornitori. Insomma, se si vuole far ripartire il Paese bisogna ripartire dai lavoratori, dalla loro valorizzazione, dalla loro tutela. E rivedere una legislazione che appare sempre più inadeguata a perseguire interessi generali, piegata com'è a favorire solo gli interessi di pochi”, concludono i due sindacalisti.