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Chi esce da Confindustria non può disdettare, prima della scadenza, i contratti di lavoro sottoscritti dando vita a nuovi accordi. Ad affermarlo è la Cassazione, pronunciandosi (con il verdetto 21537) sul ricorso della Filctem Cgil contro la stipula di un nuovo contratto del settore automotive, siglato dopo l'uscita di Fiat da Confindustria nel 2012. La durata dei contratti "vincola tutti i destinatari del contratto stesso sino alla scadenza del termine pattuito" e nessuno "può sciogliersi da tale vincolo unilateralmente prima della scadenza, neppure dissociandosi dall'organizzazione sindacale di appartenenza".
Per la Cassazione è "fondato" il punto di vista della Cgil, che ha sostenuto l'illegittimità dei nuovi contratti e di essere stata discriminata per non essere stata informata delle nuove trattative. La Suprema Corte ha dunque contestato l'estensione a tutti i dipendenti della Plastic component modules automotive (Pcma), società allora controllata da Magneti Marelli (gruppo Fiat), del nuovo contratto collettivo di lavoro del 29 dicembre 2011 concluso con Fim Cisl, Uilm Uil, Fismic, Ugl e Associazione quadri e capi Fiat in vista dell'uscita di Fiat da Confindustria, avvenuta il 1° gennaio 2012 per decisione dell'allora amministratore delegato del Lingotto Sergio Marchionne.
"A partire dal 1° gennaio 2012 la Pcma, per effetto del recesso dal sistema confindustriale esercitato dal gruppo Fiat, non aderiva più a detto sistema", aveva sentenziato nel 2014 la Corte d'appello di Torino, e per questo "non era tenuta più a rispettare le intese sindacali sottoscritte dall'associazione del settore (Federgomma)". Ma la Cassazione ha annullato con rinvio questa sentenza, perché "nel contratto collettivo di lavoro la possibilità di disdetta spetta unicamente alle parti stipulanti, ossia alle associazioni sindacali e datoriali che di norma provvedono anche a disciplinare le conseguenze della disdetta; al singolo datore di lavoro, pertanto, non è consentito recedere unilateralmente dal contratto collettivo, neppure adducendo l'eccessiva onerosità dello stesso", conseguente "a una propria situazione di difficoltà economica".
La Cassazione ha dato piena ragione alla Cgil, dunque, perché "deve ritenersi, quanto al 'thema disputandum' dell'anticipata disdetta e della vincolatività del termine di scadenza del contratto sostituito, e quindi del suo valore ostativo o meno alla stipulazione di nuovo contatto, che nessun principio o norma dell'ordinamento induce a ritenere consentita l'applicazione di nuovo Ccnl prima della prevista scadenza di quello in corso di applicazione, che le parti si sono impegnate a rispettare".