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La risposta europea agli interventi di sostegno alle imprese statunitensi è lenta e, probabilmente insufficiente. E in Italia la strada tracciata dal governo con la legge di bilancio va nella direzione sbagliata. Non solo il rischio di non riuscire a cogliere appieno tutte le potenzialità del Pnrr è alto. Servono trasparenza, confronto con le parti sociali e un grande investimento nella pubblica amministrazione.
Proprio per questa ragione Cgil, Cisl e Uil hanno scritto al ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto: “Chiediamo al governo una convocazione immediata per discutere dei contenuti del nuovo decreto sul Piano di ripresa e resilienza, a partire dai temi del rafforzamento della capacità amministrativa e della partecipazione delle organizzazioni sindacali nella realizzazione del Pnrr, anche alla luce dell’impegno assunto dal ministro Fitto a discuterne anticipatamente".
I sindacati, inoltre, ritengono che "il coinvolgimento e il confronto preventivo e negoziale con le parti sociali, così come previsto dallo stesso regolamento europeo, sia un elemento che rafforza e accelera l'implementazione dei progetti del Pnrr e, in generale, l'utilizzo delle risorse europee”.
Con Gianna Fracassi, vice segretaria generale Cgil, una riflessione su Pnrr, economia e fisco.
Gli Usa hanno stanziato una enorme quantità di risorse per sostenere l’industria nazionale, anche con atteggiamenti protezionisti. La risposta europea? Da un lato sembra prevalga la richiesta tedesca di ampliare gli aiuti di Stato, dall’altro non si parla – almeno per il momento – di un fondo europeo.
La risposta europea è in ritardo. Sia l'Inflection Reduction Act sia in generale le politiche che si stanno mettendo in campo anche a Est, inseguono il nuovo ordine geopolitico ed economico che si sta delineando anche come conseguenza della guerra in Ucraina. Non solo: da un lato la scomposizione e la ricomposizione delle catene del valore, dall’altro il salto tecnologico, incrociano più temi. Sicuramente c'è una trasformazione, un'innovazione legata anche alle filiere verdi che hanno determinato un serie di opportunità: ci vorrebbe una risposta dell’Europa, bisognerebbe rafforzare gli strumenti per consentire una competizione continentale, nessun Paese può farcela da solo.
E l’Italia?
Purtroppo scontiamo oltre 25 anni di mancate politiche industriali. E scontiamo un atteggiamento piuttosto ambiguo o non centrato su quelle che sono le prossime sfide. Rischiamo di mantenere interventi e politiche del passato che hanno dimostrato di essere inadeguati. Già nella fase pre-pandemica scontavamo un serissimo problema sul versante delle politiche pubbliche: mancati investimenti, in primis, e aumento dei divari.
Cosa dovrebbe fare il governo?
L'esecutivo dovrebbe, prima di tutto, chiarire molto bene cosa intende mettere in campo su questo versante. La Cgil da tempo indica la necessità di politiche di sviluppo governate, oltre che l’istituzione dell'Agenzia che provi a utilizzare le risorse esistenti per spingere il sistema produttivo verso i settori dell’innovazione indispensabili per la crescita.
Flessibilità nell’utilizzo dei fondi europei, aggiornamento del Pnrr e Patto di stabilità: queste le sfide che l’Italia ha in Europa.
La prima grande questione è il Pnrr. Il governo chiede flessibilità mentre, però, abbiamo qualche problema nel mettere a terra una quota degli investimenti. Certo, in parte queste difficoltà sono la conseguenza di ciò che è accaduto con l’invasione russa dell’Ucraina. Ma solo in parte, appunto. L’Italia deve riuscire a spendere, e spendere bene le risorse. Si può ragionare dei tempi, visto che Next Generation Eu abbraccia un arco temporale che arriva al 2030. Si potrebbe ipotizzare di superare la data del 26, questo disallineamento tra gli obiettivi ha poco senso.
E in secondo luogo?
Rispetto ai contenuti si può utilizzare Repower Eu, programma aggiuntivo all'interno di Next Generation Eu, per rivedere gli ambiti legati alla trasformazione verde e mettere in campo alcune scelte importanti sul versante della riconversione. Purtroppo, non mi sembra che la discussione in Europa vada in questa direzione. Ovviamente, in questo quadro, la questione della governance del Pnnr è fondamentale, così come la previsione d'investimenti nazionali e di spesa ordinaria, senza la quale il Piano rischia di rimanere una somma di scatole vuote, a partire dalle politiche occupazionali, pubbliche in particolare. La cosa grave è che si è persa traccia di una discussione pubblica su questi temi e il governo annuncia una revisione profonda della governance nella giornata di ieri senza un confronto di merito.
Dicevi, ci sono difficoltà nel mettere a terra i fondi del Pnrr. Quali sono le criticità maggiori e come si dovrebbero affrontare?
Innanzitutto serve maggior trasparenza su quello che sta accadendo sul versante dei progetti, e sarebbe importante attivare quei tavoli previsti dalla legge e dal Protocollo per la partecipazione e il confronto. Poi abbiamo un grande problema di capacità – o meglio: incapacità - amministrativa, soprattutto a livello territoriale. Avevamo proposto dei nuclei Pnrr da collocare a un livello intermedio, pensavamo a quello provinciale, non è stato fatto e adesso ci troviamo con una situazione piuttosto difficile.
Qualche problema c'è anche sui bandi...
I bandi competitivi non funzionano, tanto più dovendo ricucire divari. Soprattutto rispetto agli interventi delle infrastrutture sociali le risorse dovrebbero essere direzionate fin dall’inizio. Così come, dal punto di vista del lavoro, la riduzione dei divari di genere e tra le generazioni non mi pare un obiettivo realizzato: le quote riservate all’assunzione di donne e giovani non sono rispettate.
La premier ha affermato che per ridurre il debito deve crescere l'economia. Giusto, ma le politiche economiche dell'esecutivo vanno nella direzione della crescita?
È ovvio che uno degli strumenti per ridurre il debito, anzi il principale strumento, è la crescita. La domanda è: come si genera sviluppo? La nostra opinione è che nella legge di bilancio non ci siano misure finalizzate alla crescita. Se l’obiettivo è il business as usual, cioè ricette vecchie, dove la scelta è demandata al mercato, stiamo ripetendo degli errori. Le sfide che abbiamo di fronte sul versante economico e dello sviluppo hanno bisogno di un profondo cambiamento delle politiche proprio per la loro radicalità. Non si può affrontare questi processi con la solita batteria d'incentivi non condizionati o affrontare il tema dell’occupazione con politiche che, se va bene, confermano lo status quo. Che è, tra l’altro, uno status quo precario e frammentato.
Meloni ha annunciato una legge delega di riforma del fisco, la lotta preventiva all’evasione e un'ulteriore riduzione del cuneo.
Questa affermazione è importante, peccato che sia in contraddizione con quanto è stato fatto in legge di bilancio, dall’aumento del tetto al contante al tentativo sul Pos, fino ad arrivare ai condoni. Per contrastare l’evasione vanno rafforzati tutti quegli strumenti, a partire da quelli digitali, che possono consentire l'analisi passiva dei dati e quindi procedere prima che l'evasione si determini, profilando la fedeltà fiscale dell'utente. Oggi è possibile farlo. E poi, bisogna rafforzare tutti quei meccanismi che oggi consentono maggiore tracciabilità. In questo senso l'aumento del tetto al contante non va proprio nella giusta direzione. Più ci si allontana da tutto questo, più aumenta l'evasione fiscale.
E per quanto riguarda la delega fiscale?
Qui si annuncia un intervento a tutto campo, è quindi importante che questo passaggio avvenga con la condivisione anche delle organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori, essendo organizzazioni che rappresentano non soltanto milioni di lavoratori e pensionati, ma soprattutto la parte che, versante fiscale, sta pagando di più e sta pagando tutto. Vorremmo che si evitassero scelte che portano nella direzione - di nuovo lo abbiamo visto in legge di bilancio - di un'eccessiva differenziazione dei modelli di tassazione, oltre all'iniquità che questi interventi producono. Ovviamente mi riferisco alla flat tax. Se il buongiorno si vede dal mattino, non è una buona giornata.
Come al solito si parla di riduzione delle tasse, non di rimodulazione, ma se si riducono le tasse per tutti, da dove dovrebbero prendersi le risorse per il welfare e gli investimenti?
Qualunque intervento in materia fiscale deve avere come orizzonte la complessità e la tenuta dei conti pubblici, e soprattutto la risposta che lo Stato oggi deve dare alle grandi disuguaglianze del Paese. Qualunque intervento fiscale, inoltre, deve essere caratterizzato da equità e progressività. La direzione della legge di bilancio, invece, determina ulteriori divisioni tra i contribuenti e una riduzione delle risorse a disposizione delwelfare, degli investimenti o del sostegno all'occupazione. Ecco, penso che questa sia una risposta sbagliata. Se si pensa di fare un intervento a debito o tagliando sul versante sociale, noi metteremo in campo tutto quello che possiamo per contrastarlo. Il rischio che vedo profilarsi è che la legge delega non risponda ai principi definiti dalla Costituzione, ma a logiche di consenso. Il fisco è la base del patto di cittadinanza di qualunque Stato. L’obiettivo non può essere quello che tutti paghino meno tasse, ma che tutti - e sottolineo tutti - contribuiscano con equità e progressività alla vita della comunità nazionale.