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Cassonetti sempre colmi, buste dell’immondizia riverse sulla strada e sui marciapiedi, odore nauseante per le vie. Una scena che si ripete ormai in moltissime città italiane, recando non pochi problemi e malcontento tra i cittadini. Una frustrazione che recentemente è anche sfociata in episodi di aggressione al personale dell’igiene ambientale che si occupa di garantire la pulizia delle strade e della raccolta e smaltimento dei rifiuti. Le cronache impazzano, il malcontento cresce in modo esponenziale e con esso il nervosismo da parte di tutti. Ma c’è un aspetto che la maggioranza delle testate giornalistiche non ha neanche lontanamente considerato in queste settimane: che i lavoratori sono, anch’essi, dei cittadini. Come tali vivono le strade delle città, abitano le case e, come ognuno di noi fa, buttano l’immondizia. E con quella sporcizia devono farci i conti non solo nel proprio tempo libero, ma anche in orario di lavoro. Il disagio dei cittadini è evidente e comprensibile, ma qualcuno si è mai chiesto in quali condizioni lavorano gli operatori dell’igiene ambientale? E se sia effettivamente loro la responsabilità?
Abbiamo parlato con Giulia, Fabio e Salvatore e ci siamo fatti raccontare il loro lavoro e quello che sta succedendo negli ultimi mesi nelle strade di Roma, Castellammare di Stabia (Napoli) e Villacidro (Sud Sardegna). Giulia si occupa di raccolta base, ovvero di raccogliere e pulire tutto ciò che è intorno ai cassonetti, in supporto alle macchine. Fabio invece quei cassonetti si occupa di svuotarli, con il suo auto-mezzo. E poi c’è Salvatore che si occupa dell’ultimo anello della filiera: smaltire i rifiuti raccolti. Tre lavoratori di uno stesso sistema e con uno stesso obiettivo: rendere pulite le città. Attraverso il loro racconto abbiamo cercato di ricostruire i passaggi del sistema dei rifiuti e indagato le condizioni in cui versa il loro lavoro quotidiano.
Giulia, 40 anni, si occupa di raccolta base, intorno ai cassonetti delle strade di Roma. Ci racconta di come trovi puntualmente i cassonetti stracolmi di immondizia e di come spetti a lei il compito di pulire la strada intorno a quel caos e alla sporcizia, cosa che rende il lavoro molto più lungo e complesso. “Il nostro è un compito difficile, che richiede sacrificio. Quando arriviamo nelle strade, troviamo i cassonetti ancora pieni e cumuli di immondizia intorno, che è lì da parecchi giorni. Per questo non possiamo limitarci alla raccolta, ma dobbiamo prima bonificare la strada. Troviamo di tutto: bigattini, larve di insetti che con il caldo continuano a rigenerarsi, topi, bottiglie rotte che potrebbero essere infette. Il nostro turno è di 6 ore. Prima in 6 ore riuscivamo a fare un giro completo di pulizia delle strade. Adesso, data la mole di lavoro, nello stesso lasso di tempo riusciamo a fare appena una via, quindi 3-4 cassonetti. E sto parlando di 6 ore lavorate a pieno, sempre a schiena bassa, senza fermarsi mai. Lavoriamo con il caldo, immersi in odori nauseanti, in zone infette e spesso durante le ore di lavoro veniamo anche interrotti per essere insultati. Come se la responsabilità fosse la nostra e non stessimo facendo il nostro dovere. Che poi ciò che facciamo, non lo facciamo solo per lavoro o dovere. Lo facciamo prima di tutto per salvaguardare la nostra stessa salute. Siamo cittadini anche noi”.
Fabio, 38 anni, operatore ecologico di Castellammare di Stabia da 10 anni si occupa di svuotare i cassonetti e ci racconta a sua volta l’impossibilità di svolgere a pieno il suo impiego a causa degli impianti di destinazione saturi. “Quotidianamente io e i miei colleghi proviamo a svolgere il nostro lavoro e a restituire decoro alla nostra città. Ma siamo impossibilitati a farlo e non si riesce a far comprendere che la responsabilità non è nostra. Ogni giorno con il mezzo comincio la raccolta dei rifiuti, poi mi dirigo alla centralina, scarico quanto ho raccolto e ricomincio da capo. Ma dopo al massimo un paio di giri, nei quali ho raccolto circa 25-30 quintali di immondizia, devo necessariamente fermarmi perché i depositi sono saturi. Spesso sono costretto ad aspettare tre o quattro ore prima di ricominciare il giro. Siamo a un punto di non ritorno in cui si gioca a rimpiattino con le responsabilità e alla fine la colpa ricade sui semplici operatori che hanno il contatto diretto con cittadini giustamente e comprensibilmente scontenti. Ogni giorno qui si sfiora la rissa e non sono mancati gli episodi di aggressione finiti male. È necessario che se ne parli, bisogna trovare una soluzione. Siamo lasciati completamente soli”.
Salvatore, 61 anni, operatore di Villacidro da 34 anni. Rappresenta l’ultimo anello del cerchio, in quanto lavora negli impianti di destinazione dei rifiuti. “Io faccio parte dell’anello finale, quello di destinazione dei rifiuti. Un anello che viene trascurato dalla politica che si preoccupa di investire solo sulla raccolta, di portare il rifiuto via dalla strada. Ma se gli impianti non funzionano, come i fatti mostrano, va in tilt l’intero sistema. Le strutture sono obsolete, spesso fuori servizio per manutenzione ordinaria o straordinaria. Così il carico di immondizia viene destinato ad altri impianti che vanno in sovraccarico. Inoltre i rifiuti sono tanti e le discariche troppo poche, nessun territorio le vuole. È inevitabile che si crei un sovraccarico della mole di lavoro. Tutto ciò, peraltro, avviene mentre il personale opera in condizioni di sicurezza spesso non accettabili. Noi ci teniamo molto a questo aspetto, ma ogni qualvolta abbiamo a che fare con aziende esterne, si trascurano gli aspetti più elementari della sicurezza. Spesso siamo noi a dover fare consulenza a loro. È un aspetto molto trascurato. Fin quando non si capirà che affinché funzioni l’intero sistema deve innanzitutto esserci una destinazione consona e sufficiente per i rifiuti, il meccanismo continuerà ad incepparsi”.
Mentre la politica prosegue il gioco della conta delle colpe, c’è tutta una fetta di opinione pubblica che se la prende – verbalmente e non – con il suo primo interlocutore: gli operatori, stanchi, umiliati e frustrati per un lavoro svolto al massimo delle possibilità concesse. Anche per questo la Funzione pubblica Cgil ha lanciato la campagna "Bella Differenza", che intende mettere al centro proprio la salute e la sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori dell’igiene ambientale e la necessità di investire nel settore. Un settore che, secondo un report della stessa Fp Cgil, registra ogni anno infortuni per un lavoratore su nove. Sono infatti oltre 10 mila, secondo i dati Inail, gli addetti colpiti da incidenti, di cui circa 8.500 proprio nella raccolta, e più di 500 i casi di malattia professionale. Un numero enorme se si considera che sono in tutto circa 90 mila gli operatori del settore, tra pubblico e privato. “Facciamo appello a tutte le istituzioni – fa sapere il sindacato – affinché si esca da una fase emergenziale continua che, come registriamo quotidianamente, danneggia i cittadini e costringe le lavoratrici e i lavoratori a prestare la propria attività in condizioni drammatiche. Valorizzare l'economia circolare deve tradursi anche in un miglioramento delle condizioni di lavoro”.
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